Una dolcezza amara?

Forse cercavo semplicemente la dolcezza, la dolcezza della fine di una storia d’amore. Perciò ne provavo tante, e i vuoti li reputavo terribili. Forse, anziché amare, volevo guardare con nostalgia, ma una di quelle nostalgie melanconiche, con un fondo di dolcezza, appunto, le immagini dell’antica amata. D’altronde nemmeno più che antica si può dire. Ognuna di loro, in qualche modo, mi piace ancora. Ma, l’indefinito ricordare piano piano svaniva: il dolore, la sofferenza che erano stati per il rifiuto di una, domani lo erano per l’altra. E mai si può dire con certezza se la colpa e dunque la ricerca, fosse solo mia, o se tutto quel andirivieni non fosse che un accidente. Anche i ricordi svanivano: restavano solo tratti. Un profumo, dei capelli, un gesto… Un finto sorriso o una risposata imbarazzata. Ciò che desideravo di più trarre da quel ricordare era però la bellezza del sentire, il poterla esprimere, forse, infine il superarla. Ma poco importa. Ogni cosa che accade, accade a noi, proprio noi, così tanto vale viverla al meglio, piuttosto che farcene intossicare. Per ciò mi piaceva la dolcezza di quei ricordi: erano tutto quello di più prezioso che avevo sulla terra… E nemmeno quelli erano durevoli all’infinito. Dovevo solo seguire a coltivarne i frammenti, quei piccoli specchi, o incisioni, che nascondono nello stagno o nel rame che invecchia, alle interprete della vita, il fantasma di un’immagine più completa. Mai del tutto scomparsa, ricordiamo.

Ammirazione

Ed eccola, quella sensazione, una di quelle che non provavo da tanto tempo… Di quelle che fanno venire la pelle d’oca e senza esagerare un torpore al cuore, che si diffonde piano, tramite la vibrazione del suo battito, sino al viso. Appare l’espressione: gli occhi sono persi, invisibile ciò che abbiamo nella mente all’interlocutore, che come un elemento aereo scompare, passa, spazia la vista e giunge lontano negli anni: ecco Platone, maestoso, con uno sguardo impegnato esaltato dal sole, che bagna la sua mente canuta. Muove qualche passo, e già possiamo vedere la grandezza di quel suo dire, già vediamo l’intenzione, la maestria dell’arte che quell’uomo seppe tramandatoci. Un solo passo. Su un selciato accogliente, caldo e ricco di sassi e pietre, nella polvere a noi tanto cari: la Grecia. Immaginare questo grande filosofo, questo geniale scrittore, che si muove, vive, davanti ai nostri occhi, è qualcosa di meraviglioso. È come osservare un gigante, un leviatano, che metri e metri sopra di noi, nuota in tutto un altro mare. Ed è stato vero, ed ha schiacciato quella stessa terra, ha toccato quelle stesse colonne, che un giorno anch’io spero di avvicinare. Ecco cosa mi fa pensare leggere Platone, un uomo grande, che come un padre, o meglio, un maestro, ci prende per mano e dice: <<Vieni, ti mostreró quello che vuoi imparare>> Mai tanta stima mi ha chiarificato il cuore. Ed era solo una riga. Mi inmagino, il Fedone. 

La naturalezza

Quell’uomo stava marciando a grandi, troppo grandi passi verso la morte… Ma pure, si rifiutava di morire. Era di una forza di volontà abissale. Avreste dovuto sentirlo, mentre diceva: <<Ma io sto bene, non ho assolutamente nulla, vedi: mi alzo ogni mattina, vado a fare la mia passeggiata, continuo a dipingere e pure i miei studi su Vermeer procedono a gonfie vele! Come puoi credere che qualcosa non vada bene?>> con un sorriso onesto, aperto, si slacciava la camicia e mostrava una sua vecchia cicatrice. <<Vedi questa?>> diceva, e raccontava ogni volta la stessa storia, con una ostinazione commuovente… <<Qui è la cicatrice di quell’operazione al cuore che feci 3 anni fa. Dovevo morire… Hahah morire io! Capisci?>> Una lagrima gli scendeva dall’occhio destro, come per il riso: se l’asciugava con forza. Proseguiva, <<Eppure eccomi ancora qui! Fino a che avrò energia, finché la mia anima potrà continuare a dipingere, io sarò vivo! E lo sai, ricordi no? Quella volta che avevo avuto la complicazione prima dell’intervento, dipingevo a letto! Eccome se dipingevo! Feci delle opere meravigliose.>> Si fermava un attimo. Guardava l’orizzonte, dalla sua finestra panoramica e sospirava. Poi accendeva il suo viso, di un’espressione di quelle che vediamo sul volto di chi stia per compiere una grande impresa, e abbia faticato e vissuto ogni istante della sua vita, il volto di chi pensa ad ogni complicazione: “ho già fatto ben altro, ora non resta che questo, sono pronto”: il sole baciava tutte le sue precedenti grandi imprese e una goccia di sudore sottolineava la sua espressione leggermente accigliata, concentrata. <<meravigliose opere>> ripeteva a mezza voce. Sorrisi, sorridevo ma dentro di me ero a pezzi, vedevo sul suo spirito un dolore immenso, che premeva, ma non riusciva a farlo cedere. Gli chiesi: <<Ma certo, vecchio mio. Lo so che tu resterai qui per ancora mille anni, nemmeno lo spegnersi del sole potrebbe congelare la tua carcassa! C’è qualcosa che posso fare per te?>> Sorrise, riconoscente. Mi chiese di portargli ancora alcuni colori, poiché quelli che aveva stavano ormai finendo ed erano tutti spremuti. Acconsentii. Mi chiese di portargli i migliori che avessi, anche dell’acqua. Gli porsi il mio ultimo bicchier d’acqua, che chiedeva sempre ai suoi ospiti prima che se ne andassero, e lo salutai. Il giorno seguente gli portai i colori, niente acqua. Incerto me ne andai… Sembrava però più sano che mai, aveva una grande pace negli occhi di un azzurro profondo come il ghiaccio. Una settimana dopo appresI la tragica notizia della sua morte. Era morto dopo aver rappresentato il suo ultimo capolavoro: mi avevano raccontato che il suo corpo giaceva seduto, su una poltrona di fronte ad un grande dipinto. Quel dipinto rappresentava un magnifico edificio, con un impressionante numero di dettagli. Aveva una particolarità: sembrava essere stato costruito dall’alto. La base era costituita da quattro cubi del colore della spuma di mare, non grandissimi, ma che avevano l’aria di essere resistenti più di ogni altro materiale mai pensato. In cima al magnifico palazzo, che si ergeva in una distesa dorata, con in lontananza torri più o meno alte, si poteva vedere una finestra. Da quel piccolo spiraglio stranamente avvicinato dalla prospettiva, si poteva intuire un uomo affacciato che guardava, come lui, l’orizzonte. Le altre torri erano seppur lontane, denotate da una precisione maniacale… Ai piedi del dipinto si vedeva la scritta: <<Quassù la luce del sole è talmente forte, che la polvere non si riesce nemmeno a immaginare. Grazie di tutto, arrivederci>> In ginocchio, mi misi a piangere. Era l’opera più meraviglia che io avessi mai visto. Da quel giorno, non vidi più le strade, le macchine sfreccianti, i telegiornali in tv; non sentivo più i discorsi sconclusionati di chi si nasconde, e non vuole dire un significato, preferendo sacrificare il suo interlocutore, tentando di trascinarlo nel proprio grigiore, quel grigiore del non voler riconoscere ciò che è giusto da fare, ma forse, non conviene, proprio a chi cerca un complice di cui compiacersi; non sentii più i tanti applauditi sproloqui di chi, senza scrupoli, si accaniva contro chiunque perché non aveva un codice morale su cui contare, nè quelli di chi, senza farsene uno, pretendeva di imporre i suoi progetti ai suoi uditori, senza chiedersene il perché; ma vedevo le foglie tenere degli alberi, vedevo il sorriso di mia moglie appena sveglia, il suo sbadiglio leggero… Mi rendevo conto di amarlo come il suo più sottile dettaglio, sentivo ogni emozione amplificata, ogni contatto fondamentale: la pietra su cui tanti avevano camminato prima di me, l’acciaio che i grandi inventori ci avevano donato, la carne, frutto di quel magnifico mistero che è la vita… Quel dipinto racchiudeva il segreto del mondo: la naturalezza. Ed ero stato così sciocco a non averlo mai riconosciuto, pur avendolo avuto per tanti anni sotto agli occhi.

Ascoltando Richard Wagner

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è qualcosa di imponente, magnifico, che sa sempre stupirti, passando dalla più triste e consolatoria insieme melodia, a quella più eroica e meravigliosa che tu abbia mai ascoltato, ogni volta. Fa venire i brividi con il suo genio, con il suo impeto e la sua geniale forza creativa, che addirittura schernisce per la sua genialità la capacità di intuito umano. E ascoltando e mirando queste bellissime note non si può che vagare con la mente in quei luoghi incredibili che la musica saggiamente descrive, o vedere i personaggi, si può persino dialogare con loro tramite ogni singola nota. Ogni strumento, ogni uomo con questa musica si spinge ai limiti della sua anima. E l’ascoltatore, l’ascoltatore può purificarsi, può sognare infinitamente e senza timore, come se non vi fosse pratica miglior, la notte, che tener l’anima lontana dal sonno, e farla vagare per interminabili spazi, al braccio di lievi fanciulle che mai tradirebbero la tua fiducia conducendoti su un’aspra via… Ah vedo quei distesissimi orizzonti allargarsi davanti a me, sento profumi esotici, antichi e inebrianti che sfuggono nell’aria, a chi, a cosa appartenete o dolci fragranze? Solo il vostro ricordo può tradirvi: quella chioma, quel viso… ma ecco che è già sera, l’orizzonte si tinge del mormorio di indache cicale e le prime stelle appaiono qua e là, lambiccanti d’amore, qui, qui su questa roccia ancora scaldata dal sole sediamoci e gustiamo il sacro nettare che la vita ci ha donato, libiamo, balliamo e lasciamoci andare per una volta alla gioia più totale, poiché oggi è già domani e tutto il resto dei miei giorni è già qui, lo vedo in lontananza, sereno. La donzella dinnanzi a me sorride su queste magnifiche note, la sua mano nella mia è così candida, calda, che sprizza un unico soffio di vita, dal sorriso, dagli occhi… ah quegli occhi che già da soli bastano a confermare il riso, l’amore e la bellezza di quel leggero momento, stringo appena la mano, è già sera. La luna dal sua alto antro esuberante fa l’ingresso sulla scena, e come un proiettore ci mostra alla realtà nudi e veri, una piccola stretta, una risata e la certezza che tutto è vero, tutto è naturale. Non c’è nient’altro se non una tromba che orgogliosa risuona da lontano , canta le lodi alle dee della notte, ridenti ninfe che escono da ameni salici a pochi passi da noi e danzano, danzano con, per noi. I festeggiamenti cedono poi passo alla stanchezza, il cielo già rischiara a nord e la stella polare lo saluta… su un morbido e muschioso giaciglio ci addormentiamo calmi, felici, con ancora le dita intrecciate in un morbido abbraccio, cuore a cuore, anima a anima e niente potrebbe essere più meravigliosamente… immaginazione.

Dialogo con un gatto giallo

Questo pezzo lo scrissi un po’ di tempo fa, era un brutto momento, ma rileggendolo mi tirai su parecchio! Spero possa piacere a chi abbia voglia di leggere una storia stramba ma commuovente! (sì, dato che l’ho scritto io per me, forse è un tantino “egocentrico”, ma, in fondo, chi non consola se stesso in qualche modo quando accade qualcosa di spiacevole? È sempre un modo per scrollarsi di dosso la polvere! *dustitoff*

L’acqua è il mio elemento. Fiumi, mari, oceani… anche i laghi seppur fermi: Tutto ciò che ha a che fare con l’acqua mi appassiona e mi attrae irrimediabilmente. Sarà perché l’acqua è sempre in movimento, come il mio impetuoso spirito, come il divenire che tanto rifiutavo, non capendo che le cose certo, cambiano, ma esse possono ben cambiare in meglio o tornare alle condizioni di partenza invece di peggiorare. Il cambiamento non sempre porta male. A volte osservo l’acqua, in cui mi chiama il senso del tuffo, del gettarsi in quella massa scura e fluente, umida e fredda: cerco un sollievo, o solo il così tanto da tutti temuto porto quiete? Strano come si possa morire nell’elemento che dà la vita; e fermarsi mentre stai per buttarti, lì sulla metallica e fredda balaustra, osservare il nero di sotto, l’altezza, e dire: <<io da lì arrivo, quell’elemento che mi ha generato… come posso ora buttarmi in esso per morire?>> Scendo dalla balaustra, mi metto spalle al vuoto; di fronte a me il traffico sul ponte scorre, anch’esso, impetuoso e forte. Penso alla mia vita, a ciò che ho dedicato a chi, ai valori che ho scelto, i libri che ho letto, canzoni… davvero sto per andarmene? Davvero presto l’acqua fredda del fiume, là sotto mi strangolerà i polmoni? Un sospiro… cosa cercavo? La mia felicità consiste non solo nell’avere ciò di cui abbiamo bisogno, non è solo curare se stessi o essere virtuosi, certo, tutto questo è necessario, ma, io credo fortemente che per essere davvero felici occorra anche una persona cui stare accanto e da cui trarre e a cui dare il coraggio necessario ad affrontare nella sua più imponente pienezza la vita. Non è un fatto banale, semplice, non si sceglie, e occorre una persona il più possibile compatibile con i nostri valori per non avere sacrifici o inadeguatezze. Ma cosa sto pensando ora? Perché mi viene in mente? Già è per lei se sono qui… come sono finite presto le cose tanto erano belle, ho salvato più che ho potuto, ma pare insufficiente tutto il mio adoperarmi e… mi volto all’improvviso a guardare l’acqua, ed ecco che la vedo, per caso, come un’ombra che ti inquieta quando ti giri di scatto nel buio; ma non mi inquieta lei, no… lei è la luna! È lì nell’acqua, riflessa, vera ma falsa… alzo allora lo sguardo al cielo e la vedo in tutta la sua pienezza, come lei quando eravamo insieme, ma adesso non è più la stessa cosa, il suo viso non splende più come prima. La luna sembra tradirmi: non è più del bianco puro a cui ero abituato, un’oscura ombra giallina ne mortifica la bellezza. Guardo il fiume: gorgoglia, ride della mia preoccupazione, pare dire: <<sfortuna? Ma lo scorrere porterà di meglio, avanti buttati se vuoi, ma sai a cosa vai incontro: sarà come buttarsi in uno specchio, oltrepassalo e morirai come uno sconfitto da una mera immagine>> Una mera immagine… immagine. Eppure era così vero… cosa posso fare? Mi chiedo cosa fare, ad alta voce, come un pazzo. Non ho una alternativa facile, o la morte, la disperazione, oppure… un’altra scelta, un’altra opportunità: la vita. Ed ecco che dall’altro lato del ponte vedo arrivare un gatto. È grosso, stranamente grosso e giallo, di un bizzarro giallo acceso. Si avvicina, guarda me, proprio me. Sono sorpreso, mi siedo a terra, lì, dove probabilmente hanno pisciato centinai di cani e penso <<non è possibile… cosa..>> il gatto arriva, si ferma e si siede accanto a me. Parla. <<Non buttarti,>> dice. <<Ricordi cosa leggesti una volta? Non vale la pena starsene seduti a vedere la propria vita sfuggire via, non era proprio così, ma… sì capisci no?>> <<Tu puoi scegliere la vita, tu puoi scegliere di non soffrire, e l’hai già fatto! Hai scelto un’altra strada, hai ammesso che lo scorrere può portare a qualcosa di meglio! Perché vuoi gettarti via così! Io so che scrivi, so che suoni! So che molte persone hanno preso forza proprio dalle tue parole, e ora, tu, tu che non ammetti l’irrazionale -il male- vuoi porre fine alla tua vita in modo così patetico?>> << Ti conosco come un uomo eroico, passionale, uno che vuole vincere, vuole vivere, ma non lo dice, tu ti pieghi sempre dentro te, pensi di aver sbagliato qualcosa, torni indietro ti deprimi, muori e rinasci, rinasci e muori… ma! Se fai questo, se scegli di rialzarti sempre, di combattere… come puoi stancarti di vivere!! Perché vuoi fare questa follia e chiudere la tua vita nell’elemento che tanto ami? Vedi! Fai tu stesso irrazione con questo!>> <<Ma veniamo a noi! Perché io sono qui vuoi saperlo, no?>> <<…>> <<Sì io sono qui per impedirti di buttarti. Sono un grosso gatto giallo che ti dice fermati! Ti ho parlato già di alcuni motivi per i quali buttarti non sarebbe da te, non ne ho molti altri… la tua natura è quello che è, e se i tuoi baffi possono continuare a sorridere per te, allora non hai scuse nemmeno per essere triste, lo hai detto tu e non puoi contraddirti, lo sai caro il mio aristotelico… Davvero è un enorme peccato vederti così triste, è uno spreco che una personalità solitamente luminosa come la tua sia offuscata a causa di una scaramuccia con una ragazzina; non riconosci la autorità di nessuno sulla tua anima dicevi? Hai prestato il giuramento di Galt (“Giuro solennemente sulla mia vita, e sul mio amore per essa, che non vivrò mai per il bisogno di un altro uomo né chiederò ad un altro uomo di vivere per il mio”, vale la pena ripeterlo!) e ora ti struggi così tanto per il dubbio di altri?>> <<Maledetto tu e la tua stirpe direi! E sì! Si! Sono cose che capitano queste, sì! Prima o poi troverai anche tu la ragazza giusta per te, sì! Non c’è alcun fottuto dubbio che la troverai, sei solo tu uno stupido coglione che ti fai problemi e congetture per dei casi sfortunati casuali! Sì! Casuali, non altro! Non tutti sono rigorosi e attaccati all’integrità come te e devi accettare anche che l’amore non è uguale per tutti, hai teorizzato tu stesso la caratterizzazione e la sua dipendenza da come si risponde alla domanda ‘come posso vivere meglio?’ E tu sempre hai detto che tutti risponderanno in modo diverso e, di conseguenza, saranno qualcosa di diverso. Tue parole ‘ho scelto il bene, di non soffrire’ e adesso vorresti buttarti in un fiume, ma non farmi ridere, stronzetto che non sei altro! Se è vero, e lo è che A è A, e che la caratterizzazione esiste -ed esiste- allora non preoccuparti, ricomincia da capo! ‘Essere ed applicare un valore’ che altro? È forse altro la vita di un uomo?>> <<No. Non rispondere adesso, fermati qui, accarezza il mio pelo, bravo, così… fatti coraggio. Tu non ti butterai! Il mio compito è di preservarti dal male, dall’atrocità di togliersi la vita! Te lo ripeterò: tu hai fatto bene, benissimo, hai tentato di formare il meglio, sei stato trasparente, integro, buono e hai cacciato la felicità, scacciato il male. Non, e dico non, fare cazzate!>> <<Studia ancora filosofia e stai nel tuo pensiero, coltivalo, fallo crescere e il mondo potrà essere grato e farsi più bello grazie ad A.C.W. Ryan, tu con ogni persona tenti di migliorarti, di spostarti verso la perfezione suprema e di trascinare con te gli altri. Tanto nobile è la tua ricerca che non puoi sprecarti così, hai ancora tanto da scrivere, ancora tanto da Pubblicare, e io ti aspetterò e tu mi aspetterai…>> Mi alzo, mi pare che alle ultime parole il gatto avesse una voce bellissima, di donna, così dolce e… ma! Il gatto non c’è più! Sono di nuovo solo, spalle al fiume. Guardo giù e rido <<Non fa per me questa fine! Andiamo a guadagnarci la felicità! Anche oggi non posso proprio morire, tante grandi imprese, tanti posti nuovi mi attendono… ed è solo il primo mattino, rosa mi invita a tornare a casa.>> Mi incammino sereno, col sorriso sul volto di chi ha trovato la più alta delle gioie. Incrocio una ragazza, le cade la borsetta. Istintivamente, mi abbasso, la raccolgo per lei, mi alzo per porgergliela e, nei suoi occhi vedo la luce, la vita… ha un cappotto giallo e mi dice <<grazie…>> sorridendo col cuore.

La voce di un poeta

Questa è una mia piccola raccolta di “antiche” poesie, sono ordinate in senso cronologico e ho deciso di porle come primo articolo di questo blog proprio per cogliere in pieno il senso del titolo che mi sono proposto: lo spolverare. La polvere non ha a che fare solo con il tempo, ma anche con noi stessi. Le cose antiche se spolverate tornano a splendere, e noi stessi, se ci leviamo di dosso la polvere della banalità, potremo vedere le cose diversamente, limpide e avvolgenti como non mai. Tutto sta nell’esprimere le proprie emozioni! Sono parte di noi, vive in noi,  perciò non basta sentirle, le si deve anche generare, dire! Lascio questo percorso come una traccia, un primo frammento del mio percorso che spero possa rallegrarvi la giornata, magari essere uno spunto di riflessione e incitarvi a vivere al meglio ogni piccola onda del grande oceano della vostra vita!

A.C.W.Ryan

Ode

Questa è l’ode definitiva
ad un’amica che molto già stimai
essa bellezza impersona
tanto che a Vener l’ho già io
paragonata; ad ella va
la famosa mela d’oro, perché
la sua grazia elimina discordia
a lei la luna, già s’ispira
per ser di belle curve, come
il suo splendido corpo, che io
indegno vado a cantare.
E rime non oso dir per gl’occhi
Che tanto mi fanno illanguidir,
molti desio carnal ne voglion
trarre, ma a me basterebbe
un suo abbraccio per andare
in paradiso. E cento volte
più lo stimerei che un million
di monete de gli antichi
ch’oro e argento tintinnavan
suadenti, com’il riso di colei
di cui canto le beate bellezze.
Ed’io, spero d’aver sempre nel suo
core un posto d’umil cantore,
che a lei solo si ispira
per toccar con penna il cielo.

Alla Toscana

Questa bella terra dai ricchi marmi
Nelle cui città aleggia tranquillità
E rari, di piccioni, gentili stormi
A grandi italiani ha dato vita

Ed io che costì cammino deciso
Sogno onorato di poggiar il piede
Sull’orme del destino condiviso
De’poeti toscani ch’anche Dio ben vede

E queste strade lascio soddisfatto
Già con il desiderio di tornare
Per assaporare con maggior tatto

Mare e monti, le mura e l’are
Che me e i miei eroi hanno ispirato
Cara Toscana, io giuro di tornare.

Upside

Come un uccello notturno
Io me ne sto appollaiato
E guardo la tiepida luna
Un bianco Martini da preda
S’agita tra i miei artigli
Il ghiaccio tintinna nervoso
Scintillando nell’oscurità
E lo scrivere o parlare
È così tanto naturale
Come per il gufo la caccia
O per il corvo la carcassa.

Chi è John Galt?

Dove vai tu mentre cammini?
Cosa credi sia ciò ch’è vero,
Cosa credi sia ciò ch’è giusto…
Non voglio lasciarmi andare
Come un grano di zucchero
Sul fondo del vostro bicchiere
Non crediate di diluirmi
Con un semplice,bel cucchiaino
Voi mi vedrete risalire
O il bicchiere traboccare
Chi sono io per esser meno?

Il ricordo: la Nostalgia.

Ecco il nostro cuore, di rame è
Avvolto dove incisi restano
I volti delle persone noi care
E da queste scalfitture stillano
I mistici fumi d’ogni ricordo
Che spinti dal vento della passione
Spirano verso la mente, evocando
Dei cinque sensi la compassione, ah
Il dolore d’aver perso alcuno, oh
I beati tempi d’amore passati
O quelli con gli amici condivisi…

Strano come la natura umana
Ignori un favorevole presente
Per potersi struggere nella dote
Che l’evoluta mente c’ha concesso:
la nostalgia nobilita il cuore
porta tristezza o ispirazione.

Non vogliam mai esser dimenticati
E pur tentiamo di dimenticare
Chi tanta speranza accese in noi
Per poi solo una scalfittura lasciare,
ma mai potremo ignorar il nostro
cuore, dove l’incisione grondante
non ci uccide, ma spira dolore
E tutti, chi lascia o è lasciato
Ancor, mai vuol esser dimenticato.

Il mio mondo [amaro]

Realtà cosa mi hai tu mi rubato
hai schiacciato sotto impossibili
amori, dell’epoche che più amo privato
ma eppure appari così bella
così stupefacente ed infinita
ed io, non posso smettere di amarti
così, preso dalle tue illusioni,
sempre pronto a credere nel bene,
bisognoso di magia ed affetto
io ti contemplo. E fugge lo spirito
e leghe e leghe si allontana
cerca pace nel Greco mare,
nella classica Roma s’impersona
e’l sentir mai mi è stato sì gradito…
nel bene o nel male vita mia resta
il canto mio, mai ti ha tradito.

La strada

Non c’è strada per un poeta
Cambia sempre di meta in meta
e tende sempre all’infinito
sguardo orgoglioso pensier ardito
di chi davvero con dito tocca
il proprio cuor ma non si scotta
e così sempre può sperare
che mai, mai smetterà di viaggiare.

Notte soffusa

Fruscio angosciante di foglie
e’l crepitio del fuoco acceso
che par distante, assente
in questa tenebrosa notte
e il suono e la canzone
che da ignoti abissi risuonan
altro non posson che trascinare
il libero spirito in cielo
su, sopra le silenti valli
dove il canto dell’anima
mai si paventa o muore.
E questo insieme di accordi,
questo insieme di voraci note
musica detto, mai’ potrò lasciare:
strumento mio, io ti prego
mai smettiamo di suonare.