Principio di un tema nuovo

Ogni cosa; Tutte le cose che mi circondano, sono parte della mia storia. E c’era, in quella casa, ad esempio, uno specchio… Non troppo grande, senza pretese, ma beh, quello specchio ha visto alcuni dei miei più cari ricordi. Ne è carico, nella sottile e tanto preziosa lastra di stagno che racchiudeva, e ancor, io amo sperare, racchiude. Era sempre lì, familiare, di fronte ad un letto. E c’era poi quella porta, allo spalancarsi di un bar su un parcheggio… Quella porta che ogni volta, si chiedeva: <<Chissà quando sarà la prossima volta che mi riaprirà… Ne è passato di tempo. Forse troppo?>> E io arrivavo, puntualmente, meno che essa se lo aspettasse, e con mano non ferma, impugnavo il suo pomolo ed entravo. Dove entravo? Cosa rifletteva quello specchio? Cosa sosteneva quel marciapiede su cui scambiai il più meraviglioso sguardo delle mia vita sino ad ora? Tutte queste cose, dopo che le avevo toccate, le avevo amate… O addirittura abbandonate, come quella panchina, sola, in un parco con pochi lampioni, avevano come un’anima. Erano intessute della mia, e della storia di diecimila altre anime. Perciò, iniziai a vedere che attorno a me c’era sempre qualcuno. Anche noi, eravamo un punto, in una enorme rete infinita. Se guardavo lontano, l’orizzonte, questo si animava: dall’altra parte del mondo, qualcuno incrociava il mio sguardo. Mentre camminavo per strada, il mio passo incrociava quello di altri migliaia di uomini. Mentre respiravo, l’aria circolava tra ogni essere vivente. Ed infine, mentre vivevo, o morivo —è lo stesso, niente paura: ma questo, ce lo si deve guadagnare,— tutto il mio corpo era un insieme di atomi di corpi passati… In ciascuno di noi, ecco davvero un numero incalcolabile di storie! E per contro, anche noi, ne dovremo lasciare una. Anche noi poi, grati di esser stati costruiti, costituiremo. C’è però una parte diversa il cui destino non ci è dato conoscere, quel fattore umano che ci caratterizza, ci dà la potenza e la responsabilità di sbocciare, come fiori sempre nuovi nel corso delle ere. Le cose attorno a me erano tutte vive, le cose attorno a me, meritavano tutte grande considerazione e, temo, non avrò sufficiente fantasia, per dare a ciascuna la sua giusta storia, ma, per tutta la mia vita, voglio rendere questa landa un posto meraviglioso dove ogni ricordo, vive in ogni cosa, dove ogni incrocio, anche solo di sguardi, non è banale, dove saremo degni di aver portato gli atomi che portiamo. E dove la forza della naturalezza innervi ogni cosa.

Il tempo di una notte d’inverno.

Tempo. Tempo d’inverno. Una notte gelida rammenda vecchi ceppi in fiamme nel caldo ferro d’una fornace, vapori affumicati e nuvole; si confondono, setosi come perle sfumate nel blu a formare una grande tela. Forse la neve cadrà ancora, glaciale, a scaldarmi il cuore. Questo tempo che si perde e si ritrova, che scalda e raffredda… È questo la causa di tutto? Questo, che come un gigantesco mostro procede in una selva indefinita, o a volte lento e sensuale, come una fiera, si strofina sulle nostre gambe. È un essere che possiamo vedere da diverse prospettive questo tempo. Possiamo toccarne la lunghezza, carezzandolo con la mano. Oppure possiamo sentirne la folle corsa, verso la nostra Storia. È così denso il suo pelo, fatto di mille ricordi, ora affondo la mano, ora trovo una zona più scialba, canuta. Le fusa del tempo si mescolano alle sue grida e noi ci troviamo ad esser insieme padroni e padroneggiati. Strano come il tempo sia tutto per la nostra vita: è ciò che vediamo davanti, è ciò che ci attende in fondo, è ciò che svolazza dietro. È noi stessi. E noi lo viviamo, siamo immersi in esso, come un tuorlo nel suo guscio. Ciò che ci separa è l’albume, bianco, indefinito… Ma tutto da disegnare. Il tempo suona il suo corno in tutte le ore e non suona mai in vano. Mille turbini accompagnano la sua bufera e mescolandosi, pian piano, danzano. Ricordi…
Dopo ciò detto, si sistemò meglio sulla sua sedia. Quel vecchio cantore dagli occhi azzurri più del ghiaccio, aveva passato tutta la sua vita a cimentarsi col tempo. Ma le varie conclusioni cui era giunto si mescolavano con esso. Aveva con sè oramai come solo risultato una vecchia valigia in pelle, in cui folti ricordi intessevano chiara la bellezza della sua ricerca. Aveva tentato di capire come il tempo corra, come salti, o come strisci. E aveva passato tanti bei momenti nel suo viaggio. Tante persone aveva conosciuto, lungamente aveva parlato. Ma mai, era riuscito a dialogare direttamente col vento, col tempo stesso. Si era rivelato infine un gigante irraggiungibile, di cui, talvolta si vede la cima. Solo, aveva capito che la curiosità e l’osservare la natura erano modi di rilassare il tempo, anche il conversare  lo era. Le notti d’inverno passavano rapide attorno a quel fuoco, dove tutti, in cerchio ci trovavamo. E c’era un grande segreto in quel luccichio di parlare: noi stessi eravamo il nostro tempo, e tutto con noi scorreva. Ma eravamo come insiemi di gocce che andavano non verso il nulla, ma solo verso altre milioni di creature. Dovevamo solo essere degni di generare quello che sarebbe venuto dopo, dovevamo solo essere degni di aver camminato in mezzo a questo tempo felino.

Noi, siamo una stella.

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Nemmeno lo spazio è un posto poi così buio… Perché dovrebbe esserlo la nostra vita? Certo le due cose sono diverse, ma se consideriamo la porzione di universo che noi possiamo vedere in una sola volta, come la porzione di storia che noi occupiamo in una sola vita, sull’intero universo storico, le due cose non si avvicinano, forse? Ecco, noi vediamo certe stelle, che hanno impiegato millenni, per portare la loro luce fino a quel puntino che noi indichiamo con il dito, affascinati. Così, ogni cosa che ci accade, giunge da lontano, molto lontano… e noi, come stelle, proiettiamo nel futuro la nostra luce… Oppure, tragicamente, ci spegniamo: non mandiamo abbastanza luce, diventiamo un puntino troppo poco luminoso nella storia. Ma abbiamo questo potere: di bruciare, irradiare tutta la nostra potenza! Perché non usarlo? E non serve attuare imprese incredibilmente grandi; certo, se si posson fare, se se ne ha l’opportunità, ve ne prego: fatele! Ma oppure basta impegnarsi nella propria vita, generare belle azioni e lavorare affinché anche tutto il mondo sia meraviglioso, buono, così anche le altre persone. Possiamo creare un quadro davvero meraviglioso per l’universo futuro, perché la nostra storia, al contrario di quella di una stella nello spazio, (che pian piano nasce, diventa sempre più ardente fino a scomparire in un’esplosione memorabile, o sino a spegnersi in un corpo nero) può essere scelta: così possiamo brillare al massimo per tutta la nostra durata, prima di morire e restare però ardenti come braci. Non siamo costretti a scomparire nel buio. Nemmeno le stelle lo sono. È complesso, davvero me ne rendo conto ma, pensiamo, se le falene usano tutta la loro vita a cercare la luce, anche sino a morirne, scottate; e una stella usa tutta la sua vita a cercare di infrangere il buio, allungando la propria luce, non possiamo noi forse essere falene stellari? Noi possiamo cercare la luce delle stelle e scacciare il buio. Noi possiamo vedere una parte dell’universo, e abbiamo in mano il pennello che può crearne una parte per il futuro. Questo è.
(per l’immagine dell’articolo ad altissima definizione: https://www.eso.org/p…/archives/images/original/eso1539a.tif ne vale la pena, qui si vede davero tutto)

Un sogno, quale sogno?

Forse non è poi così vero che l’uomo sia un animale socievole. Piuttosto, io credo, potremmo indicarlo come un animale che ama relazionarsi, e ricordare… Qual è la sensazione più bella che potrebbe mai capitarti, infatti? Questa notte, mi è capitato. Ho sognato, io e lei, che tornavamo a camminare insieme. È stata la sensazione più dolce e meravigliosa che io abbia mai provato. Perchè sì, noi amiamo che tutto vada bene, che tutto crei attorno a noi, un’aurora rosea e sollevante. <<Ne è passato di tempo>> non lo dissi nel sogno, riaccoccolandomi stretto a lei, ma, nei nostri occhi, questo si specchiava, i pensieri si attraevano senza alcuna possibilità di ritorno: non c’era bisogno di dire alcunchè. Non ce n’è proprio, busogno. Ah, quanto può esser sublime il ricordo dell’amore, pare di averlo davvero, di nuovo, tra le mani. Ma questo, è una colomba bianca che qui o là si posa. E non può esser trattenuta con facilità, va nutrita, curata e pulita. Abbiamo cacciato per tutta la vita un uccello, senza mai poter volare. Ma potevamo esser, pur, sempre in due. È così anche gli altri ricordi si intrecciano rinascono per un istante dentro noi, li vediamo con chiarezza nel sogno, bussano alla porta della coscienza nella veglia… Ma non è facile aprire. Resta solo… Una sensazione. Qualcosa che sempre preme, e ci dice: <<Se ogni giorno, ti vedo avvicinarti al tuo culmine, e poi, ahimè, ogni giorno ti vedrò morire…>> <<Perché non vuoi più fare ciò che desideravi da bambino? Perché non provi, a pensare come ci si dovrebbe preparare, per raggiungere il proprio culmine? Perché non vivi più, secondo natura?>> E io lo rivedo, proprio come quell’abbraccio, quel bambino che, pensando già a chissà quali grandi questioni, giocava con degli animali sotto ad un tavolino. E posso interrogarlo, ed è tanto saggio, perché, come posto su un’altura, vede tutto ciò che io ho già pensato, passato, provato. Noi, invece, da quaggiù, in una galleria di specchi, abbiamo la vista corta. Solo un picchiare lontano ad una porta ci avverte, che noi possiamo, possiamo ricordare, possiamo amare e possiamo fare tutto quello che determiniamo come nostro scopo. Ma il mondo, ora, è una gabbia troppo stretta, per chi aspira a catturare una colomba. Insieme.

Dal Fedone, un inno alla forza dell'”emozione”

“[…] e crediamo di abitare in alto sulla terra, come se uno, pur abitando a metà dal fondo marino, credesse di abitare sulla superficie del mare; e, vedendo attraverso l’acqua il sole e le altre stelle, ritenesse cielo il mare, e non essendo mai giunto, a causa della sua inerzia e della sua debolezza, su alla superficie del mare, non avesse mai osservato, una volta emerso ed affacciatosi fuori di quel mare verso la nostra regione di qui, quanto più pura e più bella si trova ad essere questa nostra regione rispetto a quella loro, e non ne avesse mai sentito parlare da un altro che l’avesse vista.”
Platone, “Fedone” 109 c5 ss.
Questo magnifico passo mi ha colpito profondamente nell’animo. Solo un commento mi riesce dare, a questo inno di magnifica capacità e amore per la filosofia: se noi cerchiamo qualcosa di migliore, e ci sforziamo di essere buoni, di essere valorosi, qualcosa dobbiamo pur aver visto. Ci vuol molto a non ingannarsi, ma la nostra volontà, la passione per qualcosa di grande, di profondamente sentito, può trarci fuori da questo mare. Perché altrimenti non saremmo in grado di sentire tutto questo. Musica, arte, filosofia, letteratura… Non sono messaggi di un mondo migliore? Che sia sopra o possa formarsi qui, sta a noi determinarlo.

Un gioco tra fantasia e realtà


…Era come se lei non ci fosse in quella stanza. Ma lei c’era, in un modo diverso. Quell’uomo guardava fuori da una finestra, alle sue spalle: l’orizzonte si perdeva, autonomo, dietro a dei costoloni di acciaio e vetro. Avrebbe potuto immaginare tutto ciò che desiderava, là dietro. E ogni tanto, quando lei non lo guardava, le allungava un’occhiata, curiosa: osservava la sua collana, il suo respiro, gli occhi e il viso, concentrati nello sforzo del pensiero, del viaggio. Ma quando lui scrutava l’orizzonte, ecco che tutto si ricomprendeva in un unico spazio: la carrozza del treno, un vestito giallo, un grosso libro, un divano, la campagna… La città. Occhi chiari, di un azzurro spalancato. Occhi marroni, di una dolce sfumatura: le due donne si confondevano, anche i panorami, e dal loro punto di vista, non erano che figurine trasparenti per quell’uomo, anonimo, in quel luogo. Ma egli, egli le aveva viste. Notate: il pugno appoggiato alla testa, quello sguardo, fra tanti, infuocato di intenzione, della corsa della fantasia, dello stupore. Così, se ne stava nella sua ormai stinta poltrona il vecchio uomo, che stropicciandosi la barba ricordava, leggeva, o meglio, ammirava la tela del suo passato. Anche i panorami crescevano a vista d’occhio dentro di lui e le case di campagna si accompagnavano su alti grattacieli ai più bei tramonti visti da un treno in corsa. Era ancora tutto così vivido in quell’umida notte, che già preannunciava la stella del mattino. Si alzò in piedi, si voltò ad uno specchio e osservò il suo volto, ancora giovane…. Dove iniziava l’immagine, dove finiva il reale?

Frammento sull’origine dell’etica 

E quella sera comprai un violino. Ero così entusiasta! Tornai a casa, estasiato: dal principio non potei tirarne fuori nemmeno una nota, ma già verso sera l’invisibile apparve: musica. Una precisa combinazione, il giusto equilibrio, avevano prodotto un miracolo. Così, tra mille suoni che non sono altro che fruscii e strida, ecco pian piano perfezionarsi la musica: una nota con una certa frequenza, e con certi armonici al suo interno, ben e giustamente sviluppati: l’uomo. Così I primi inventori non credettero agli dei, perché erano stati loro, da soli a produrre la ruota, la musica, il motore a scoppio, ma, senza saperlo affermavano proprio, in questo modo l’esistenza di una mente superiore, che tra tante “prove” aveva alla fine raggiunto un compimento, qualcosa di funzionale. E la divinitá, come gli inventori, usa tante regole, costruisce un campo nell’ordine dei suoi strumenti, ma, credo, quando uno strumento è animato, e fa da sè c’è poco da fare, lo si deve lasciar camminare con le sue gambe, nel campo dei fenomeni, oppure chiuderlo in una gabbia, se si vuole studiarlo (?) per analogia, dunque saremmo costretti a vedere che gli dei possono ben esistere come nostri creatori, che la terra è o una gabbia, o un luogo, un campo, in cui noi possiamo muoverci… Ma, ciò che non si sa è se poi questa creazione sia immortale o no, se abbia effettivamente delle parti diverse, o a quale scopo possa essere stata destinata. Anche se qui, ciò che meglio ci riesce —l’efficacaia— può portarci a capire il nostro scopo: ciò verso cui tende la nostra natura. E perciò, che ci sia o non si sia un creatore, sembra che nel qui ed ora, a noi spetti di essere utili, funzionali, dovremmo trovare e seguire il nostro scopo. Facciamo attenzione però, poiché il nostro scopo dovrà tenere conto che tutti gli altri viventi hanno in sè una certa potenza che ugualmente ha diritto a trasformarsi in atto. Così nasce l’etica: una concretizzazione del pensiero che incontra il desiderio, e la realtà.

Piccola prosa tra primavera e autunno

Osservo le nuvole nel cielo… È sera, una di quelle prime sere di settembre, fresche, poco illuminate ma nemmeno troppo buie. Dico quelle sere di primo autunno che ti ricordano già come dopo tutto, alla fine dell’inverno, i più splendidi fiori di cui si era persa la memoria, spunteranno preziosi dalla neve. Di nuovo. In queste sere le nuvole viaggiano veloci, ti rammendano il continuo ciclo delle cose, si espandono in cirri dalle mille sfumature di viola, che languidamente vanno a mescolarsi con la notte. Solo la luna impregna le loro ombre creando un ovale da cui si diramano setosi capelli d’argento. La più bella delle primavere è proprio vero che risiede nelle tiepide lande delle notti d’autunno. Il solstizio le saluta. Ma ecco, il profumo dei bucaneve investe già la mia vista commossa: un chiarore ad est svela quel viso della notte, lo bacia con raggi dorati: non ve n’è più traccia… mi ero fermato per così poco: è già mattino.

L’universo nel cortile 

Guardavo, chiuso nel mio spazio dalla finestra una piccola piazza. Su di essa si aprivano mille altri universi. Guardai, per esempio, una coppia che si avvicinava ad una porta ferrata. La donna la aprì, i due entrarono, chiudendola alle loro spalle: quel palazzo. Mi immaginavo il mondo lì dentro. Il mondo visto con gli occhi di quei due alieni, che si accingevano a vivere in un mondo privato. Come lo era la mia piccola cucina, distinta dal grande palazzo, ma non dal mondo intero. Sguardi, emozioni, azioni, erano racchiuse in mille altri scrigni di luce: su una finestra poco distante un armadio attendeva la sua sorte: il nascondimento del buio, ma chissà cosa nascondeva quella porzione, quel luogo a me così vicino, eppure così distante? Come quando feci la spesa, l’altro giorno: avevo alle mie spalle una ragazza carina, pareva una che studiasse storia, forse lettere. Con la sua giacca marrone, i piccoli scarponcini e i capelli neri corti, ricci, che le avvolgevano il collo come una graziosa iperbole. E gli occhi. Erano di un marrone chiaro, acceso, penetrante sullo sfondo di quel nero. Davano al viso una certa aria accattivante che mi piacque molto osservare, in modo discreto. A molti infatti pare scortese essere troppo osservati… D’altronde la conobbi pochi giorni dopo. Era accompagnata da una mia amica più grande, e apprendendo il suo nome, cercavo curioso o forse un poco in modo folle il suo sguardo. Anch’essa aveva certo un suo universo, che per caso, era entrato in contatto con il mio, quando mai me lo sarei aspettato. Solo il mondo intero invece sembra avere continuità, una collina e il suo panorama sono amiche (preferisco qui il femminile) che non si possono vedere separate. Proprio non possono, ne soffrirebbero entrambe. Ma ciò che concerne la vita invece si separa, si distingue. Infiniti, davvero infiniti percorsi, sguardi, universi si notano sulla faccia della terra ed è bello fantasticare su essi. Sui loro incroci. Come quando guardando l’orizzonte ci figuriamo di incrociare dall’altro lato lo sguardo di una donzella che forse, appena annoiata o languida ci offre la sua direzione, che, con cortesia notiamo, sorridendo sublimi al vento che forse già da tempo ha carezzate le sue gote. Così appare difficile dire: <<A sì, quello lo conosco, è uno che…>> Perché i nostri universi sono separati, c’è sempre una parte di vita che dell’uno resta oscura all’altro, e ciò vale anche per lo scrittore e per il suo personaggio, che altrimenti non sarebbe più vero. Con ciò non voglio togliere a nessuno il piacere dell’amicizia, anzi. In modo suggestivo, solo, vorrei fissare questa visione: se noi valorizzassimo in maniera decisiva ogni singolo sguardo, ogni singola traiettoria, vedremmo come il nostro destino, si lega a volte curiosamente con quello di mille altre persone, ed ecco che la nostra storia si anima. Tutto ha il suo posto in un intrico meraviglioso che solo basta a non farci perdere mai l’ispirazione, la voglia di metterci a fare, a vivere, poiché ogni filo va verso l’ignoto e a noi spetta scoprire sia le origini che l’arrivo, i punti di contatto. Quale più alto spettacolo di improvvisazione e macchinamento fantastico potremmo mai trovare?

Un’ombra di sole

Giacciono, come stelle dorate, lungo l’invisibile linea del sole, le mie speranze. Le nuvole giocano con esse, ecco la luce, ecco l’ombra. Ma dove, dove si nasconde il miraggio luminoso e dolce del sole appena scompare? Lo cercherei tra le sterpaglie secche, ma esso non c’è più. Poi, ricompare, leggero e lamentoso appena, ma di quel lamento che segnala la fatica superata: il preludio della liberazione. Avanza, con voce di violino in un intenso crescendo fino a spegnersi, calmo nel crepuscolo. Ma sempre, oltre ogni nuvola lui è pronto a tornare.