Inverno?
In una notte d’inverno mi svegliai da un tenue torpore. Il freddo abbracciante, entrando piano, di soppiatto, fino al nocciolo più profondo della mia accogliente dimora, era giunto anch’esso, a scaldarmi il cuore: neve! Cade, la neve, oh neve, candida e pura giù dal cielo. Si posa, come un bianco airone sulle ghiacciate acque, e le ammanta di un tenero manto bianco. Non mi ero mai spinto così tanto sotto al ghiaccio, ma, com’era avvenuto, il gelo raggiunge sempre chiunque si nasconda da esso: viaggia, da corpo in corpo, come se partisse dalla più remota stella spenta, e, solo infine, giunto sulla nostra pelle, possa finalmente spegnersi in calore. Mi alzai leggero da quel giaciglio ormai invernale, e indossato il mio mantello nero, uscii nella luce accecante del mattino innevato. Brilla la neve, oh neve… Dai miei occhi una dolce lacrima, per l’attacco dell’aria secca scende, docile segue la linea di uno zigomo, e ormai depurata dal sale che vi abita, si disperde nella mia barba. Va chissà dove a terra, sulla neve. Oh, neve. Attorno alla mia passeggiata si odono vari canti, uno più soave dell’altro, canti di cigni, o di pettirossi? Non è di poca importanza. Mi fermo a vedere un fiore. È ancora troppo freddo per lui, ma, eccolo, che dalla terra dura e compatta egli sale, preannuncia un disgelo, vive. O forse, solo, per il suo ultimo giorno brilla più che mai la sua corolla? Brilla come degli occhi, occhi che tanto tempo fa brillavano. È così lontano il tempo vicino. È passato, è risucchiato da una bufera di neve dopo l’altra, lontano… Dove? Oh, neve. Ne sento il profumo, ne tocco il crine, ne contemplo la forma. Per ore e ore, fisso in una radura osservo quella antica figura, così viva e morta che nemmeno uno spettro potrebbe gareggiarci in verità. Poi un sogno: un raggio di sole scende… Che suono fa la luce del sole? E la nebbia, che lenta dai campi distanti monta sul suo plumbeo cavallo, cosa ha da dirci? Immaginai come un soffio fragrante, appena spumeggiante: come spirerebbe un dolce che sale col lievito, lambito appena dalle onde di un calmo mare. E il sole, oh sole! Immaginai un suono come di un pomolo di bronzo che scorre su una ciotola dello stesso materiale, un suono abbastanza chiaro, ma dolce, mai fastidioso. Era così ingiusto non poter sentire quei suoni! Mi abbattei a terra, rannicchiato come in un ventre. Il suo respiro, calmo mi diede un po’ di pace. Avrei voluto restare lì per anni… Ma il suono dei ricordi, vorticoso dentro di me, si stava troppo addensando: nella mia coscienza tutto si muoveva, caoticamente. C’era un nucleo fisso, al centro del ciclone però, dove piccole e leggere parti di sogno carezzavano il mio io. Più ci si allontanava da questo centro, più un oceano grosso e impetuoso avvampava, fino a giungere agli estremi limiti, dove le parti più grosse di memoria vorticavano ormai lente, tranquille. Quasi oscillanti. Preso da una musica dolcissima e fatale attraversai tutto quell’oceano, e bagnatomi nella mia storia, scelsi. Mi rialzai da terra, corsi, verso casa, e inizia a vivere. A vivere davvero, il freddo non era più solo qualcosa di esterno, qualcosa che viene per diventare calore. Era finalmente un momento fondamentale, tutto era fondamentale. Qualunque cosa entrasse o uscisse da me, tutto doveva avere una direzione. Non si sarebbe più sporcato di elementi rifrangenti, come il ghiaccio. Che la neve copriva così bene, oh neve! Perché, perchè cancelli gli errori dell’uomo? Sono essi che devono spingerci al meglio… Da peggio che eravamo prima. Sospirai. Presi una tazza di tea e osservai fuori. Aveva ripreso a nevicare: una infinita moltitudine di caratteri danzavano là fuori. Incerto accesi il fuoco, e presi un secchiello di neve da fuori, lo posi alla giusta distanza dal focolare perché non si spegnesse. Avevo nel mio salotto il calore e il freddo che mi abbracciavano insieme: era magnifico. Sorrisi, e lievemente aprii il mio uscio. Entrò neve, sole, vento, erbacce, piccoli volatili, un coniglio, uomini, insetti, foglie secche e foglie nuove… In una settimana passarono tre anni, e poi passarono gli amici, gli amori. Questo strano regno non era poi così abbandonato. Il villaggio ogni mattina viveva, a modo suo. E tutto scorreva normale, come sempre. Mentre attimi scomparivano e si cancellavano l’uno con l’altro, presi a tagliare l’aria, come avevo visto fare ad un piccolo stecchetto incandescente nel fumo: ogni particella era, e si applicava nel suo passaggio. Il bastoncino correva, e poteva finire il suo viaggio o accendendo il fuoco del mio caminetto, o spegnendosi per l’aria fredda che gli correva attorno, sopra il fumo. Lo buttai nella paglia quel bastoncino! Si, così feci, e alcune sterpaglie presero fuoco, altre erano ormai bagnate ed inservibili, ma altre scintille si unirono alla mia e alla fine un bel fuoco canticchiava nel mio salone. Accendendo il fuoco, avevo vissuto, avevo sprizzato luce, l’avevo potuta vedere, poiché senza una luce non si può proprio nè vedere il buio, nè altra luce. E così trovai la mia luce. Danzavamo in cielo, sopra ogni cosa che non fosse su con noi, proprio come l’aria calda che sale, e lascia ai suoi margini quella fredda. Oh, neve: Questa storia non finisce con una luce che si spegne, ma con una brace ed una promessa futura.Ora che ero insieme combustibile e fuoco, e che la mia luce lo era con me, potevo finalmente dire che avevo compiuto la mia natura.