Allegoria d’un panorama [togliere la maschera]

Primo, si alza tra i monti, come una torre svettante e nera sullo sfondo della luce del sole: un cipresso. Cosa fa lassù, solo? Cosa potrà vedere da quella altezza? Andai a trovarlo. Ai suoi piedi giaceva una volpe, addormentata… Respirava piano, così dolce era il suo sonno… Non volli turbarla, camminando leggermente me ne andai, sul versante opposto. Il mare! Secondo, il mare veniva giù dalla collina, e solo, dalla spiaggia che sostava ai suoi piedi, in alto si vedeva salutare il cipresso. Guardava appena poco più in alto dell’orizzonte, anche se non ha un limite… Forse lo cercava, da tanti anni che era là, stabile, immobile, lievemente mosso dal vento della sera. Terza, sorse la luna, splendida, calda e dolce come il miele di castagno, che pure è amaro… Si specchiava nel mare profondo, dando luce ai suoi bisognosi abitanti. Anche il pino ne era illuminato: questa volta era lui il limite, oltre, la luce non illuminava che tenebre. Misi i piedi appena nell’acqua tiepida e assaporai quella sensazione. L’acqua era bassa e lambiva soffusa la pianta dei miei piedi, delle mie radici. Mi sedetti a gambe incrociate, le mani in grembo, la destra a conca che sosteneva e accoglieva la sinistra. E respirai a fondo il profumo della poesia. L’aria era calda, ma non troppo, e una brezza piacevole sostava dal mare verso la collina trasportando appena i miei vestiti lontano… Intanto io non ero già più lì: ero tornato in un tempo nuovo, nuovo, ma di cui mi ricordavo. Era il tempo in cui avevo conosciuto la bellezza, la bontà di ciò che è naturale, reale insieme. Non era presente quella cesura che appare poi, con la crescita, quella cesura dolorosa che a volte, semplicemente scompare, perché non la si vuol credere, o meglio, non la si può nemmeno immaginare per vera… Dico la separazione tra innocente fantasia, legata alla natura e all’idea di cooperazione, e la realtà, fumosa di inganno, prima di tutto inganno di sè, secondo inganno d’altri e terzo inganno verso la propria natura… Verso la possibilità di avere davanti agli occhi il vero, il vero non mediato, ma proprio quello che dentro di noi, ci fa vergognare quando proviamo ad evitarlo. Solo che a forza di negarlo ci si abitua, solo che, a forza di vederselo negato ci si stanca, solo che, una volta rovinati da chi ci ha ingannato… qualcosa può rompersi in noi. Ma non per forza questo accade, e anche noi, se sbagliamo, possiamo accorgercene e cercare di riparare. Osservare un panorama diventa allora una responsabilità, delle più grandi. E alzarsi ogni giorno implica lo stesso impegno, o meglio, la stessa naturalezza di chi voglia compiere una grande impresa, che non esiste, in verità, in verità è solo la nostra vita, diretta in un certo modo, solo, si deve dirigerla nel modo giusto, per poter descrivere bene un panorama… Altrimenti finiremmo soli come il cipresso… Oppure sformati, come il mare, infine, tanto polimorfi e pieni di riflessi da perdere persino la natura di noi stessi, come il riflesso della luna… Compreso questo mi alzai, e mi tolsi di dosso quell’immagine, che pure stava sembrando effettiva: tornai sulla collina e scesi dall’altro versante: un mondo nuovo attendeva di essere visto, un mondo nuovo, ma di cui mi ricordavo.

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