Al viandante 

[Occasione:                                   Questo sacchetto per le arance è perfetto, comodo… Proprio adatto al viandante. Infatti, ha una struttura a rete in plastica, molto resistente. Inoltre, — ed è la cosa più importante — ha delle praticissime maniglie, che permettono di trasportarle a mano, senza occupare lo zaino già pieno di altre avventure.]

Il viandante si siede sulla roccia fresca, levigata dal vento e dalle polveri del sole. Assaggia la terra che circola nell’aria. Assapora il caldo vento dell’estate al riparo dall’arsura sotto un basso arbusto secco, di quel giallo paglia che tanto illuminò la nostra giovinezza. E prima di ripartire lascia una moneta, l’appoggia lì, sulla sabbia, in bella mostra, lucente della sua speranza. Egli sa che un altro viandante passerà su quella traccia, un giorno o l’altro. Egli sa, che ogni viandante raccoglie con piacere una moneta lasciata lì, apposta per lui, e profondamente grato, ne lascia un’altra a sua volta, col sorriso sulle labbra, con gli occhi che rispecchiano la speranza di chi ha donato. Non un dono qualunque: un dono della fiducia, un dono della serenità: quel dono di chi, giunto al termine del suo primo viaggio, si volta indietro e sorride, vedendo che ciò che ha lasciato è stato raccolto e ben custodito, e che ogni altro viandante, vedendo ciò che è stato lasciato per lui, ha anch’esso donato: non importa il valore, lo scambio è comunque pari, se si parla della più nobile delle monete che ognuno può donare… E perché farlo? Potrebbe chiedere qualcuno, qualcuno che non è avvezzo al vivere, al vivere da viandante… Certamente noi risponderemmo: “Perché io credo con tutto me stesso, che ogni viandante sia buono, e voglia essere felice. Nessuno ha motivo di danneggiare o intralciare gli altri viandanti: siamo tutti sulla stessa rotta infine, e per questo ci supportiamo recirpocamente. Ognuno ha fiducia nell’altro, e sa che darà il meglio di sè per concludere il suo viaggio: in tutti miei notturni non ho mai visto spettacolo più magnifico e alto di questo. E desidero vederlo per sempre, perciò io lascio la moneta! Io, e ciascuno dei viandanti…

Una risposta, scritta a matita, veloce. Lasciata su un tavolo in una biblioteca. Nell’aria risuona quella musica: Chopin!
“Devi sapere che ogni viandante è nottivago anche di giorno! Ogni suo viaggio, ogni suo girovagare, è un notturno. E le monete che lasciamo nella notte, sono come le stelle: un punto di ritrovo, un orinetamento fisso e di fattura speciale costruito nella storia. È una preziosa amica la storia, fatene buon uso!”
Lessi avidamente quelle poche rapide parole, ma ne feci tesoro. Anche io potevo partire e tentare questo viaggio al buio, un viaggio pericoloso e pieno, in fondo, di fantasmi… Ma è giusto. Io vado d’accordo con i fantasmi, che sono della stessa razza dei nottivaghi. Quali fantasmi? Non mi va di parlarne in qualità di fantasmi, no, dirò piuttosto, che, come i fantasmi, queste cose sono “più vicine all’invisibile, all’immortale, all’indistruttibile e al divino” che tutte le altre cose dette reali. Esse sono: la fiducia, la speranza, il coraggio, la costanza, la libertà e lo splendore insieme alle tenebre. Ciascun uomo solo, se è viandante, può voltarsi in ogni dove, e vedrà allora un mondo invisibile ma vero. Sullo sfondo di questo ci sarà la realtà, ma solo guardando le due cose insieme si potrà davvero esser nottivaghi, altrimenti, si cadrà nella tomba dell’uomo reale. “La speranza è grande, e la ricompensa bella.” “Per chi crede che <le cose> stiano così, vale la pena di correre il rischio — giacchè questo rischio è bello“.

[le ultime tre parti tra “.” Sono tratte dal Fedone di Platone. Un ringraziamento speciale va proprio a Platone infatti, per avermi dato tanta ispirazione con una sola opera. Per conoscere la sua filosofia, vi raccomando tutti i dialoghi… Sono semplicemente Magnifici!]

Notte notte notte

Quasi per gioco, provo a pensare a cosa sia la libertà… Mi metto nei panni dell’aria fresca, quella pura, che sa di neve, e che sorride chiara, alle stelle. La brezza che accarezza il volto delle persone, senza chiedere loro nemmeno chi sono, solamente, si diverte a cullarle, come se le accompagnasse in un leggerissimo ballo. Alcuni si accorgono di lei: aspirano il suo profumo, prendono la sua mano, e con occhi luccicanti guardano su: la luna. Anch’essa come lambita dalle piacevoli onde della notte. Perché la libertà è di notte? Perché è la notte l’ora che porta nei luoghi più strani, nelle avventure più disastrose, quelle che ci fanno ridere mentre peggiorano, e che alla fine, in qualche modo, si risolvono. Allora ci vedono camminare trasandati sul fosco selciato del mattino: le quattro, le tre… Seduti da qualche parte a carezzare l’erba fresca e a raccontare le storie più pazzesche e belle della nostra vita, con solo una matita dell’Ikea in mano, presa chissà dove, ancora per gioco, quasi per scherzo. Possiamo scrivere, disegnare un’ultima volta con quella matita e poi regalarla al nostro vicino, perché abbiamo fiducia in lui, gli abbiamo parlato tutta la notte: non è più  una semplice sconosciuta. Sappiamo che di sicuro farà buon uso della nostra matita, e con una stretta sfuggente ci separa il sorgere del sole: è mattino. L’aria cambia profumo. Ma non dura in eterno il tempo del fare, la notte, infatti, è il tempo dell’immaginare, dell’inventare e dell’esser liberi. “Siamo liberi dalle 19 alle 6” sorrido a vedere questa scritta campeggiante su una vetrata anni ’50. Ha proprio ragione! Cammino tranquillo, con la camicia aperta, che fresca avvolge il mio corpo verso la strada, non è una strada particolare, è quella strada che questa notte mi sospira all’orecchio. È un luogo nuovo quello che trovo: palazzi avvolti da grovigli di piante rampicanti, squarci nell’asfalto duro e pozze d’acqua dove si abbeverano gli animali della foresta… Il cielo è arancione e l’avventura ha sempre la sua compagna. L’orizzonte… I grilli che suonano la loro melodia, assordante, ma tanto, che devi fare? Non è bellissima? Già. Lo è. Di notte siamo costantemente innamorati, di giorno la luce del sole scaccia le ombre, ma non possono mai stare l’una senza l’altra: la luce e l’ombra, il non vedere e il vedere… Il non voler vedere, e il dover guardare… Ah, l’ultima stella che resta nel cielo ormai verde mi richiama all’attenzione. Quante notti sono passate? Sono passate davvero? Non era solo questo un discorso figurato sulla libertà? Risa, alle spalle delle mie domande, la fantasia si diverte e ancora gioca. Saremo mai liberi dal fantasma delle fantasmagorie? Bisticcio linguistico, ancora giochi tra parole e azioni fatte per scherzo, corto circuito di pensieri. La libertà è proprio come quando guardo negli occhi una persona, e sento che con lei potrei passarci una notte intera, un sorriso… quel sorriso libero allora compare sui nostri volti, gli occhi si spengono, si distolgono dal “vero” e una avventura fantastica ci porta verso mete che mai avremmo potuto immaginare… Basta un ponte ed un fiume per essere liberi. Il bello sta nel capire se l’acqua scorre sopra o sotto al ponte, non credete? 

Fuori dallo spazio e dal tempo

Notte. Le stelle, la solita vecchia casa abbandonata, di fronte alla via che si perde, fuori… Nei campi… Nell’aria c’è come un odore di speck, strano. Strano che la notte sappia di carne, di affettato… C’è una stella laggiù che è più luminosa delle altre, bassa sull’orizzonte sorride al viandante, al viaggiatore. Non accendo la luce, entrando in casa, lo so che preferisco la penombra: gli specchi tra le varie stanze mi rimandano la mia immagine scura contro pochi tagli di luce, una luce? Ma non era notte là fuori? Ho ritagliato uno spazio, un tempo, in cui non c’è un chiaro prima e dopo, non c’è un chiaro qui ed ora: ci sono tante cose… Tanto tempi mescolati insieme, luoghi ideali e luoghi strani, luoghi a cui collego una storia intera, tempi a cui collego un mondo intero. Sulla nave, ad un tavolo, due amici ed un libro; in un vecchio locale abbandonato, un giardino esterno, da favola, calore e una telefonata ingannevole; panchine, corrono via veloci, non le voglio vedere, troppo le conosco. Viaggi, signori con il panciotto che non sono altro che riflessi di lampioni sulle foglie. Un luogo… Non c’è (?) io lo vedo, ma in trasparenza, oltre altri luoghi. Ancora, calore, il verso delle tortore, il profumo della terra e un game boy. La cena è pronta. Arrivo, entro… Altro spazio. Il nulla con attaccate certe qualità, tanti triangoli che si dispongono a formare reti di cose: la materia non c’è più. È il Timeo… Ma il latino lo chiama “io temo” o almeno così disse quel tale. Un luogo, un luogo eh? Non so se ce ne sia poi uno, in fondo. È una costante fuga questa, ma pian piano, piccole parti iniziano a riflettere una chiara luce: sono quelli i pezzi del mio puzzle. A chi desidera sapere non resta che uscire fuori dal tempo, entrare nella natura e volgere lo sguardo al proprio tema più o meno aggraziato. Cos’è il nucleo di ciascuno? Silenzio di chiesa.

Lettera d’un amante 

[“chi parla in questa lettera? Quale dei tre soggetti dobbiamo considerare?” Il paziente non risponde in modo adeguato. Perché, gli abbiamo chiesto, il titolo è lettera d’un amante? Risponde: “Io le amo quelle creature, lasciatemi vedere, ancora un istante… E lei? Dov’è!? Chi siete dov’è il mio…” Il paziente a questo punto è stato tranquillizzato e riportato nella sua stanza. Avrà mai dei miglioramenti? Confido di sì Dott. J.P.C]
Un guizzo dorato nella calda estate, anni che circolano in una sfera di vetro colorando di mille riflessi tutte le stagioni. Parlo di esseri che muti seguono le nostre avventure, ci osservano, e cantano in continuazione un canto che a noi non è dato ascoltare. Viaggiano in uno spazio immaginario senza potersi mai fermare, eppure loro non se ne accorgono della loro bellezza delicata. Come immensi leviatani possono raggiungere gli abissi più distanti e viaggiare da uno specchio all’altro, amorfi e fluenti: meravigliosi. Ne ebbi molti nella mia vita, e tutti erano qualcosa da osservare con estremo piacere. Come acrobati talvolta vorticavano nell’aria, nella trasparenza del loro piccolo mondo respirando appena l’aria di cui io invece tanto necessitavo. Quelle creature che quando sono in due, o a coppie, danzano dolci tra le onde. E osservarle galleggianti di fronte ai nostri occhi, di fronte alla nostra frenesia, appariva e appare (sempre apparirà!) come vedere una favola. Mi trovai una volta di fronte ad una di loro, in un sogno buio, ma ricco di una azzurra luce, chiara e gentile che avvolgeva tutto in un manto semplicemente accogliente, bello. Osservavo, minuscolo al suo confronto, il suo grande occhio, proprio come quando, ebbro di luce, mi alzavo la notte tarda e correvo a perdifiato nei boschi del tramonto… Impossibile? Ma è pur sempre un sogno… correvo e guardavo la luna, quel grand’occhio semichiuso che ci osserva tranquillo. Proprio come quella immensa creatura, che sospesa negli abissi più cristallini mi osservava e con il suo verso profondo, come la vibrazione che anima la terra, risuonava in tutto il mo spirito con un semplice invito, un benvenuto. Il suo regno appare oggi così lontano, che basterebbe girare un angolo immaginario per raggiungerlo. Non erano solo loro poi, no, non solo quelle creature attraevano tanto la mia attenzione carezzandomi la fantasia, ma la loro fonte, la loro vita… quello li caratterizzava decisamente: erano pesci e il loro tenue respiro d’acqua calmava ogni mia più profonda paura, ogni male, ogni ansia… cosa c’è di più splendido dell’oceano e dei suoi abissi? L’inesplorato, il non  conosciuto raccontato da un labile canto, da un occhio saggio, da squame dorate che sole sono state  in quei luoghi. Dovremmo più spesso osservare i pesci, dovremmo più spesso osservare i loro gemelli dell’aria, perché sono il lato decisivo della faccia della terra. Senza contatto con l’aria e con l’acqua, con la libertà e con l’infinito, non potremmo chiamarci uomini. Questo mi ripetevo prima di immergermi nel mio ultimo bagno, quell’ultimo tuffo che mi avrebbe infine ucciso. Ma voglio rivelarti un segreto coraggioso lettore, tu che ti sei spinto fino a questi abissi della psiche, hai tu mai osservato un pesce in una sfera di cristallo? Fallo per me, te ne prego, e da’ da mangiare alle anatre del lago, poiché la buona stagione volge al termine, ma io non potrò più aiutarle. Sono qui, sono morto, chiuso in un corpo che ha dovuto smettere di giocare, per essere chiuso in una trappola frastagliata e grave, vera: ho abbandonato la follia a costo della ragione, c’è forse più grande sbaglio? Ti lascio la riflessione, non fa per me. Letto questo messaggio corsi subito al lago, gettai del pane alle anatre, e spogliatomi di getto mi gettai nell’acqua, fredda, fresca, piacevole… Erano le parole di un folle quelle che avevo letto? No, non credo, credo piuttosto che fosse il grido d’aiuto del più saggio degli uomini, ma dov’era ormai quell’uomo? Mi guardai alle spalle. Era ormai un anno che avevo abbandonato quel dannato manicomio, e ne erano successe di cose, ne avevo inventato di storie, avevo risposto a migliaia di domande, ed ora ero qui, di nuovo dove speravo che sarei tornato. Il lago, la sua acqua, i suoi animali, io… Non era poi giunto il momento di ricominciare?

Aforisma sullo zigomo della vita 

Il più grande, il più difficile e insuperabile dei nostri problemi non è che polvere pronta ad essere spazzata da un minimo, futile soffio di vento. Proprio come noi. Perciò, se da un lato niente può distruggerci, dall’altro, la nostra fragilità è più lampante di quella della neve al sole. Il punto di forza dell’uomo? È che può affermare con la massima partecipazione, con la più alta cognizione ed emozione proprio questo.

Non è meravigliosa, la vita?

A me piaceva passeggiare per le riviere, nei giardini e ovunque si potesse osservare scorrere l’acqua di un fiume… Un ponte… Amavo vedere le anatre acquattate sulle sponde a volte spiccare un bianco volo, nascosto dalla superficie splendente delle loro piume nere. Era proprio questo che facevo: passeggiavo, immaginavo, dialogavo con me, con le cose, con le parole… E spesso andavo in un posto particolare, un posto che aveva sempre il suo effetto: la riviera delle rimembranze… La sponda sinistra di un amabile corso d’acqua che avvolgeva la città: c’era un ponte di metallo a quelll’altezza del corso d’acqua, e i pesci si divertivano a correre contro corrente sotto la sua ombra. Anche nel ponte di pietra più avanti potevo osservare questo spettacolo, con alle spalle, lontana, la svettante figura della torre per l’osservazione degli astri. Astri… Che parola misteriosa, con quel gioco tanto naïve e amabile tra la S e la T, come quello che la contessa di Guermantes poneva con estrema grazie in quel suo modo di dire “affascinante” con come una ripetizione della SC… Me la immagino nella sua estrema bellezza: semplice e insieme meravigliosa, come solo Proust avrebbe potuto descriverla. Era proprio questo quello che facevo: giocavo con le parole, giocavo con il testo del mio pensiero carezzando a volte le carte a gioco scoperto, altre volte mostrandone una, e celandone altre nella manica, per scherzo, dato che io sapevo già tutto, già tutto quello a cui poteva riferirsi quell’espressione, quell’esitare, quel dire del panorama quando era ad altro che erano rivolte le parole. Un linguaggio magico: regolato alla sua origine, ma plastico nelle sue possibilità, nella sua capacità di avvolgere come l’acqua quello che a tratti appariva avvolgente. Quella riviera era per me un posto di nostalgia, ma insieme un posto di grande apertura… E ce n’erano tante di opportunità… così tante che era appena oggi l’alba nuova di un mondo in movimento! Anche la luna ruotava insieme a me.                   Quando coniavo insieme a qualcuno un termine di complicità era bellissimo potersi riferire senza bisogno di parole, potersi stringere in uno spazio di familiarità. Bastava parlare, bastava tendere la mano, e quella ragazza straniera con cui non avevo mai avuto il piacere di parlare, poco dopo era in grado di fare insieme a me giochi con le parole, e non solo, insieme anche agli altri compagni. Stretti insieme da un tema comune, dallo studio di una materia che permette di librarsi come un’anatra dalla sponda all’altra di un fiume, ma non solo, anche di nuotarci attraverso, o di passare sott’acqua! Tante strade apre la filosofia per il pensiero. Altre discipline aprono altre strade, ma immagino che questa insieme alle lettere e alla poesia, sia proprio una di quelle che permette di aggirarsi sognanti e accorti insieme per le zone amene della città, sospirando, in un modo speciale al passante ignoto: “La vita è meravigliosa, nevvero?”