II discorso

Non avere voce in capitolo

Amarezza. Un’amarezza di quelle che ti colorano gli occhi di sale, acqua che increspa appena la loro superficie senza mai scendere… La rottura di una fede, l’allontanamento da un luogo, dalla dimora… Dove siamo nati noi? Perché è così crudele questo tempo votato al terrore ed al sopraffare? Forse è sempre stato così nella storia, ma solo vivendola davvero si può sentire quanto faccia male: siamo costretti a temere di uscire di casa, costretti a temere che il nostro vicino non voglia farci che del male. Chi, chi ci costringe a questo? Perché? Cos’è il terribile peso che schiaccia in questi anni l’uomo fuori dalla terra, dentro il suo alter-ego? Eppure guardandosi attorno esiste qualcosa di buono, ma da dove viene? Serve fortuna? Cosa occorre oltre alla presa della propria storia, al suo direzionamento? … Troppe domande rendendo liscia l’anima, che scivola qua e là, travolta dagli eventi. Ci vorrebbe un’anima secca, forte, per fermarsi e decidere. Chiediamo un po’ di silenzio, allontaniamo la brama di sapere cosa accade, e chiariamoci, prima: “a me, cosa accade, e come possiamo comportarci di fronte a questi eventi dolorosi che ci circondano?” A me cosa accade… Mi trovo su una strada bianca, di ciottoli puliti, pronto ad attraversare il fitto bosco della vita, che nasconde tante avversità, radure bellissime e altri esseri, ma non ho con me quella gaiezza, quella passione che dovrebbe derivare dal dire “Sì” a questo viaggio… L’entusiasmo c’è sempre stato, ma si dissipa via via, perde energia: sballottandomi contro eventi e persone che sanno solo assorbire senza a loro volta spingere. Finiamo come l’essere parmenideo… Sfere immobili, inutili se non per dire “l’essere è e il non essere non è” ma a che scopo? Non lasciamo così nemmeno pace ai morti: non sono… Ma potrebbero ben essere una spinta invece, anzi, una delle più forti. Il clima è ozioso e capriccioso, e i venti che salgono dalle gole delle grotte da cui si comanda il mondo stropicciano i poveri uomini, esseri ai loro piedi che non sanno che partito prendere, o si risolvono nella troppa foga da un lato, o nella rinuncia pecorina dall’altro. E pensare che quelle grotte dovrebbero rappresentare una vetta, un luogo sicuro e fidato… Ma no, questo orami non passa più nella testa di nessuno, non c’è più nemmeno spazio per il lamento. Esso si manifesta però in molte forme, poiché le anime non possono infine ignorare la loro estraniazione: terribili cose accadono allora, e come se mille aghi dall’interno spuntassero fuori, l’anima è tormentata e bela, o infuria, calpesta. Quanto vorrei non vedere queste cose, ma eppure, vedendole, non posso fare altro che prestare fede al mio giuramento alla terra: si deve esprimere un giudizio, esporsi, manifestare la propria idea e proteggerla con tutto il corpo. Anche se è difficile esprimersi e persuadere un’immagine, si deve avere la forza ed il coraggio di darsi da fare, in ogni modo. Urlare al vento… Un vento non futile, ma di trasporto, come una lanterna accesa che richiama l’attenzione del compagno: “dove sei, vieni in mio aiuto?” E ce ne sono tanti di compagni, alcuni mascherati, ma al nostro richiamo dovrebbero gettare la maschera, e riconoscere il loro riflesso nelle specchio dal vero sè, dice un bambino. Piangendo lo prendo tra le mie braccia ed esco, vado a vedere, racconto storie, storie vere, senza perdere l’abitudine di tener d’occhio il sole: sorge e cala, ogni giorno. E ogni giorno che sorge e cala, si consuma pian piano una candela. Stranamente sempre quella più bella cade per prima, come se la sorte fosse malvagia. “Egli persuase la necessità a condurre verso il proprio meglio la maggior parte delle cose” (il Demiurgo, nel Timeo) solo la maggior parte… Perché non tutte? C’è una necessità che tira l’uomo forse, a scegliere coscientemente il male? Ma no, non è così che stanno le cose. Noi possiamo scegliere, solo, spesso, ci prendiamo una “vacanza” diciamo, “per una volta…” ma questo è errato. Qui noi formiamo uno stato abituale, ci proviamo della possibilità di agire virtuosamente, — non dico sempre, per varie ragioni, non brutte, ma proprie dell’uomo: passioni, errori, debolezze di un momento, ma… Quando si dice “per una volta” non ci sono scuse, si perde di fronte all’onestà del sè. Piuttosto è meglio rimandare, affrancarsi e poi agire, ma evitare di scegliere e di giudicare: questo è il male — stiamo fallendo come spiriti liberi. Diventiamo schiavi di noi stessi, ma di quale noi? Questa è la giusta domanda. Non abbiamo una sola voce, e la nostra voce è, come un accordo, il risultato di almeno tre suoni — stranamente, sono proprio tre: es, io e super io; anima razionale, irascibile e concupiscibile — eppure l’accordo è uno, è armonia: perciò non si deve seguire una nota più che un’altra, ma essere sempre in pace sulle proprie corde. Abbiamo davanti a noi un’ultima scelta a questo punto, siamo agli sgoccioli, guardate attorno: o accettiamo di cantare in modo intonato o accettiamo di perire. Cantar bene significa saper vedere il mondo in modo attento, fitto, saper prendere la decisione di percorrere una certa strada e pensarci bene a questa strada, perché il tempo non vaga all’infinito insieme a noi, ma per un solo tratto ci segue. Saper esprimere un giudizio e saperlo esprimere in primis su di noi, costruire rapporti con altri che suonino bene con noi, ed allontanarsi da chi suona male, ma non lasciarlo solo — anche se per adesso è il contrario in qualche modo — in questo modo forse usciremo da questo vacillare? Proviamoci: prendiamo in mano le corde, le redini della nostra esistenza e vediamo di condurre un certo tipo di vita relativa a sè ed agli altri: la fantasia di un bambino, contro il meccanismo di un mondo… “Howard Roark rise” (prime parole di: “La fonte meravigliosa, di Ayn Rand. Libro che consiglio con tutto me stesso)

Intermezzo

La fuoriuscita da sè dell’essere è un’odissea davvero ardua, ci sono tanti ostacoli e insidie sulla strada, ma infine, senza che nessuno se l’aspetti, ecco che come una balena, il sè emerge dagli abissi dell’anima: salta e batte la schiena in un grande frenire d’acqua. Lo sfiatatoio spinge, come una corolla celeste, il vapore che la balena conservava nel suo cuore fino alle più alte estremità del viso… Ed ecco che, per un istante, si è davvero autentici: emerge con potenza la vergogna, l’imbarazzo, il pudore o la soddisfazione, — quest’ultima viene però, a volte, già falsata nel suo nascere dalla modestia, ovvero da un’orgoglio smodato — queste sensazioni che mettono a nudo il soggetto, sono suscitate dalla sincerità, sia di chi agisce, che di chi subisce: infatti quando qualcuno ci fa un complimento possiamo arrossire, e mostrare imbarazzo insieme a una certa contentezza, ma solo un complimento sincero, frutto di un’apertura del giudizio da parte del nostro amico verso di noi, può far emergere l’apertura, la semplicità, l’autenticità. Invece un complimento fatto per lusingare o per altri fini, o semplicemente per nulla, ma comunque non davvero sincero, non susciterà mai questa fuoriuscita. Anche nel caso della vergogna, solo un richiamo davvero serio e che fa presa sui fatti induce la nostra autenticità ad emergere, con un tiepido calore alle gote, e lo spostamento dello sguardo. È solo un guizzo, poi la balena scompare sott’acqua, salutandoci — si spera sempre non sia un addio… Anche se gli addii hanno il loro fascino, la loro magia: sono come sfere di cristallo che lasciamo cadere a terra, solo che la loro esplosione in frammenti e il suono cristallino che prosciuga il silenzio dentro di noi, non può mai cessare, mai per sempre — con la coda: un ultimo giocoso spruzzo d’acqua che investe fresca il viso del vero noi. La balena emerge per prendere il respiro, infatti negli abissi della nostra vita comune, non possiamo noi certo restare in asfissia, anche se molti ormai come morti viventi si trascinano sul fondo del mare, o a pelo d’acqua marciscenti. Esplorare gli abissi più profondi e trasportare in superficie il vapore delle nostre emozioni, del nostro autentico sè… È forse questo il senso del famoso detto dell’oracolo di Delfi “γνωθι σεαυτον” [conosci te stesso] ? È necessario ripensare il mondo antico, siamo davvero noi così moderni? “Non mi pare” 

I discorso

Un uomo non può avercela con nessuno se prima non si è misurato con se stesso. Altrimenti si dirigerebbe in una via oscura, una via tanto più impervia ed aspra quanto meno ha dialogato con il proprio sè, il proprio carattere, il proprio δαίμων [daimon, io interpreto, lo spirito guida che dimora in ciascuno di noi e ha a che fare con il nostro comportamento, soprattutto quello etico. Id est il sè autentico di ciascuno, che nonostante le apparenze è spesso sonnecchiante, e ci vogliono in questi casi scossoni molto forti per risvegliare la sua disapprovazione. Ma tenendolo attivo e allenato al giudizio, otterremo una farfalla con la potenza di un leone]. Perciò si deve parlare con se stessi e interrogarsi su quello che stiamo facendo, questo anche nel momento stesso in cui giudichiamo: stiamo solo puntando il dito e siamo buoni solo a criticare, o ci sono le giuste ali attaccate al nostro pensiero? Ali che sono abbastanza leggere da volare poiché libere dal peso della presunzione e dell’ignoranza, ma che sanno colpire il giusto punto per cambiare le cose. Infatti non si deve volare troppo in alto, oppure saremmo legati al piano solo ideale, — questo è un piano importantissimo, amabile e imprescindibile che tutti devono coltivare nella loro esistenza privata per volgersi al meglio, per avere un’autentica tensione alla vita, alla giustizia e al bene. Mai potrò deliberare e scegliere di abbandonare questo piano, sono convintissimo che l’idea, il sogno, la passione sono elementi fondamentali, molto più che la barbara realtà e la lucida ragione. Infatti senza emozioni che sarebbe l’uomo? E nella realtà, potremmo mai avere la poesia, la fiducia e la delicatezza dell’amore e dell’eroismo se ci abbandonassimo al mero calcolo? Non credo proprio. Perciò difendo con forza questa tesi e ne subisco le conseguenze… Giocate quanto volete, ma io so di agire al meglio delle mie possibilità e di tendere alla mia personale realizzazione nel quadro del genere umano sulla terra. — ma insieme non si deve restare a terra: sono le galline a restarsene a razzolare nel loro stesso sterco. E seppure sono animali che mi piace osservare, non sono comunque un buon esempio con la loro goffezza e ottusità — sapete a cosa mi riferisco, non è vero? — la via giusta da seguire è invece quella del volo nel cielo… Più su è un’aspirazione nobile e bella, necessaria al volo, ma che si potrà esaurire solo dopo lungo tempo e fatica. E non tutti desiderano andare oltre il cielo… Alcuni nemmeno s’azano da terra! Ed ecco che allora esiste la filosofia, — in particolare quella morale o ispirata da intenti critici verso qualcosa che manca di rispetto all’esistenza — la poesia, la letteratura, la scienza — una scienza attenta alle discipline che le stanno vicine e da esse  sorvegliata mentre a sua volta sorveglia — e tutte le belle arti, (per convenzione le chiamerò arti della vita): sono come maestri benevoli che si prendono cura dell’uomo e lo spingono ad agire in maniera corretta ed utile per tutti, oltre che per sè— ed in primis per sè, questo è da sottolineare, un uomo buono non vive sacrificandosi per nessuno, piuttosto dona ai suoi simili ciò che sa potrà aiutarli, una volta che ha plasmato il suo fine e ne è felice, conscio che anche loro faranno lo stesso con lui, ma non tanto per lo scambio, piuttosto per la fiducia che ha in loro. Insieme al desiderio che ha di vedere i suoi vicini nel più alto posto possibile essi possano occupare con la loro abilità. Ama vederli, e necessariamente vedersi, all’opera mentre costruiscono la loro vita, e ogni aiuto che può dare per questo spettacolo reciproco lo da ben volentieri — in questo modo rendono l’uomo in grado di fare qualcosa che l’animale non può fare: conoscere l’onestà e l’integrità necessarie a perseguire uno scopo determinato con mente e anima, per cui si vuole allora essere soddisfatti. In questo senso muovono l’uomo alla giustizia e all’attività che lo possono portare ad essere buono. Ciò sottende il lavorare con tutta la propria tenacia e forza, senza però danneggiare nessuno: questo sarebbe un negarsi la possibilità della soddisfazione finale. Abbiamo detto che le arti della vita rendono l’uomo capace di volare, se da tutto questo discorso non fosse chiaro il perché, è bene specificarlo ora, poiché mi preme molto. — questa non è assolutamente la mia ultima parola sull’argomento, sono i miei primi passi, ecco che gattono ancora, e forse sono già caduto qualche volta in queste poche righe… Ma si deve pur imparare a camminare, “a pensare con la propria testa” e qualche caduta come scotto la pago volentieri davanti a chiunque avrà da richiamarmi, dunque aiutarmi se dice bene — Dicendo questo intendo che quelle qualità che stimolano le arti della vita sono per l’uomo l’antidoto più connaturale a non far addormentare il proprio δαίμων. Esse infatti rendono necessaria un’attenta capacità visiva, che sappia assumere uno scopo per il proprio sè, e quindi lo conosca, ma d’altra parte, sappia anche guardare fuori di sè e si imponga l’impossibilità di supportare tutto ciò che appaia, davanti agli occhi di ogni uomo, di malvagio, ingiusto. Ma ingiusto rispetto a cosa? Ho detto in uno scritto precedente che non c’è giustizia o ingiustizia senza un criterio, e proprio qui non voglio parlare a vuoto. La giustizia di cui vorrei parlare è allora quella per cui ciascun uomo sulla terra tenta di spingersi al meglio delle sue possibilità, e ha fiducia negli altri esseri simili a lui, la giustizia per cui nessuno che abbia una buona abilità sia mai soverchiato da colui che ne ha meno — abilità vera, non l’inganno di chi ottiene una posizione che poi mostra con il suo operato concreto di non meritare — la giustizia che riguarda chiunque voglia dare ascolto alla natura e al canto degli uccelli, giorno e notte, la giustizia di chi corre in aiuto del suo compagno, perché sa che questa cooperazione potrà aiutare entrambi… Semplicemente, la giustizia che rassicura e fa risplendere di vita il legame di due che amandosi davvero, restano insieme in eterno. Come l’albero e il suo terreno: anche se il primo dovesse cadere, il secondo resterebbe sempre al suo posto, e pian piano i due si fonderebbero di nuovo. Anzi, il loro legame sarebbe ancor maggiore… Non più solo le radici nel terreno e il nutrimento di questo nell’albero, ma le due cose insieme: l’albero che si fa terriccio e che va ad arricchire e nutrire il terreno stesso: come un pegno dovuto, torna dalla sua amante, la terra, e sempre le resterà fedele. Molti fiori sbocceranno su quel terreno, mai e poi mai, potrei dubitarne. E giurerei il mio amore stesso, steso su quell’erba soffice con lei tra le braccia. Questa è la giustizia che, come un diamante, o una lanterna sprigionano la loro luce nel buio, rendendolo percepibile e a loro volta essendo percepibili grazie al buio. Una giustizia che prevede la purezza dell’equilibrio e dello scambio, la giustizia che guarda in faccia solo la lucentezza dello sforzo alla virtù e al bene, la giustizia che premia chiunque viva per amare.

Un giorno d’amare[8/03]

In questa festa ciò ch’è mancato è il volto: di donne, ne ho viste tante, dalle più adorne alle più sbarazzine… Ma spesso, proprio oggi, vedendo passare il fruscio delle loro vesti, la snellezza delle gambe sensualmente avvolte dalle calze… I capelli al vento, appena bagnati e abbelliti dalla pioggia — la calma delle mani che affondano nell’erba appena bagnata dalla rugiada… Ed ogni filo ha il suo profumo: indimenticabile, come un fantasma si insinua nella coscienza, e non appena se ne avverte il sentore, ecco che tutta la bellezza nella sua particolarità appare: oh, quanto amo il profumo delle ragazze, il loro dolce profilo… È come il migliore dei vini, ed uno è sempre diverso dall’altro, ma altrettanto dolce al cuore — ciò che restava nascosto dalle spalle, o scongiurato da una svolta della via, era la cosa più importante: il loro volto. Come potevo amare, — amare la bellezza, o forse cadere proprio in quell’invasamento divino ch’è l’amore: così si legge nel Fedro, ed io lo ammetto — se non vedevo quella fantasticheria ch’è il volto di ciascuno, qui di ciascuna, ma non fissiamo paradigmi. Il volto è la raccolta della personalità di ogni persona, il centro da cui si dipana la bellezza, il copricapo dei capelli, il ricettacolo degli occhi… — oh, quanto mi son cari questi due elementi del volto… Insieme a nei, che possono, talvolta, adornare con franchezza e passionalità la sottile curva del mento, o dello zigomo di una bella donna, una donna da contemplare… Da mangiar cogl’occhi, tanto infiamma la nostra anima solo con quel minuto tratto — parte tutto dagli occhi, si sa, il Dolce stil nuovo aveva ragione, vedeva giusto e in accordo con l’amore. Mi dispiacque molto, dicevo, non vedere alcuni dei volti dai quali avrei potuto trarre ispirazione, indicati dalla postura, dal modo di camminare, dal vestito e dalle languide curve delle passanti, ma questo — appunto — era il meno. Io desideravo incontrare il loro sguardo, poiché una storia non si può proprio scrivere se non si sa vedere negli occhi l’altro se non si sa cantare la sua canzone, in duetto, dove ora uno ha il tema principale, ora l’altro… Non si può scrivere una storia senza un incrocio di diecimila sguardi — dico diecimila coccolato dalla tradizione indiana, dove si parla dell’universo, talvolta, come dei “diecimila esseri”, delle “diecimila creature”, connesse insieme da una rete di reciproca coimplicazione: un filo segreto che arieggia da ogni pupilla e suscita la bontà verso il proprio simile, la fiducia — Anche la bocca è fondamentale, il suo colore, il suo taglio e la sua morbidezza chiamano al bacio: l’Unione per cui due anime possono finalmente soddisfare il loro affanno, finalmente nascono le ali a loro proprie, che le portano, come un caldo vento, verso l’alto. E chi non si è sentito venir meno la terra sott’i piedi in un bacio davvero appassionato? Amate il loro sguardo, lasciatevi cullare dalla loro chioma, ascoltate le parole dell’amore, e amiate, amiate davvero, con tutta la vostra esistenza, poiché l’amore è il miracolo più grande. Il più grande davvero, e non basta amare l’amore: questo è fondamentale, l’amore è un sentimento che non può essere [di per sè] amato, richiede sempre il due, è un canto, un vento che appunto in quanto tale necessita di ritmo e intonazione, di aria calda ed aria fredda… Di un io e dell’altro [in quanto noi medesimi]. Anche in noi. Con questo non ho detto tutto sull’amore, ma festeggio per me una giornata che lo porta in modo speciale con sè, una giornata che dovrebbe ricordare a tutti, qualunque specie o genere appartengano — ma che importa, io sono io, prima di esser un uomo. Ciò che mi interessa è: sono un uomo buono? — il rispetto che va dato ad ogni vivente, in particolare a quello che si ama, senza mai far finta di dimenticarsene la natura. 

Aforismi: firasofia

L’aria fresca carezza queste stanche carni che seguitano a trascinarsi leggere verso un punto indefinito: troppe cose perturbano la visione della meta: come un idolo appare nella più o meno allentata distanza. Ci si aspetterebbe che dal cielo, un giorno, cadano degli occhiali magici, un organismo indipendente e necessario a creare un tutto, un tutto organico. Cos’è che si indossa e da cui insieme si è indossati? Solo un sentimento può arrivare a tanto. Uno specchio in uno specchio, qualcosa che pur se diverso si riflette in modo reciproco ed illimitato. Ecco qualcosa che non può esistere… Ma pensandolo io lo creo, ci credo. 

Quando si parla un discorso che nessuno può intendere, o quando si ascolta un discorso che nelle nostre possibilità è inesistente, cosa possiamo trarne? Nulla. Nulla davvero. E non c’è molto da fare, o si cambiano le regole del discorso, — ma è una cosa tanto intima e susseguente al nostro io che… Come potremmo cambiarle? — Oppure si parla a vuoto, o si ascolta altro.

Quando non si trova una via d’uscita la si deve creare. Abbiamo ben una mente e una certa forza, possiamo farne capitale e sfruttarle al meglio. Gettarle ai cani non serve a nulla e tedia solo ciò che già stava degenerando.

-La spontaneità è insieme il meglio e un impedimento. Eppure tutti dovrebbero seguirla. 
-Così sembra (?)

Si può? Sì, entrate. Venite a vedere questa splendida mostra di sculture. Rappresentano i grandi del passato, forse non tutti li conoscerete, ma qui, accanto a ciascuno, ecco che trovate la loro storia. Una storia che recita versi di poesia. 

Il fondale può nascondere grandissimi tesori, ma arrivarci è arduo e può recare alla perdita di se stessi. 

Non esistono problemi, esistono condizioni favorevoli e sfavorevoli. O anche, casualità sfortunate e casualità fortunate. E applicandosi si può sempre cambiare rotta. Si può persino vagliare ogni singolo caso ma prima o poi si deve pur prendere una risoluzione.

Una risoluzione…

Uno sprone, uno sprone per favore. Lei, come si chiama?

Sappiamo chi è John Galt, ma non sappiamo dove sia, se ci sia, o quando ci sia. Eppure ognuno di noi è un po’ John Galt, può essere John Galt. 

…Tuttavia non tutti sono John Galt

Cosa esiste oltre quello che facciamo?Mille cose. Perché non provarle se vogliamo andare oltre la banalità del male? Tanti campi ci salutano dalla collina del sè e noi dovremmo esplorarne solo due o tre? Mai sia! 

Gli insetti. Sono ovunque, fanno terrore… Ecco che risuona il loro lugubre lamento: un cormorano dalle ali aperte.

Un discorso, scritto, parla, scorre. Non si interrompe, dice. Sa. Eppure non comunica alcunchè ad anima viva. Deve forse rivolgersi ai morti?

Ieri l’ho visto, l’ha vista. Si è accasciato, l’ha abbracciata. Era così docile nel suo morire, aveva uno sguardo così amabile nel suo passeggiare. Le sue vesti avevano un gusto deciso, un piglio nobile, quella dea.

[MAI] Abbandono

Alle sei di sera, o poco meno, ecco che sorse il sole: il cielo grigio e piovoso fu dorato a sud da una luce che, mentre i minuti passavano, andava rinvigorendosi sempre di più! Come un leone: il suo ruggito inizia forte, si spande nell’aria conquistando tratto tratto spazio nel cielo grigio, ecco che sfuma poi in un violaceo arancione e si spegne infine  nel silenzio. Il premio della mia faticosa giornata: vedere quel tardo, quell’ultimo bagliore di sole rispecchiarsi nel cielo come il primo mattino dell’estate! La pioggia era così insistente, che comunque si poteva vedere, contro la luce. Ma il fondo della città ardeva del colore più magnifico che il cielo avesse mai veduto in questo ancor cocciuto inverno. Le nuvole si diradano poi gentili, la luce si stempera: è un attimo e il ruggito del leone è già terminato… Peccato che sia un verso così corto, ma che possenza! Come il cielo continuava a lacrimare, così io non potevo più farlo, come la luce era tornata a splendere, così io non so se avrei più potuto illuminarmi… Anche se quel bagliore che per poco giunse a scaldare anche me, mi diede la speranza, la speranza di un profumo, che aleggia leggero, avvisa anche a grande distanza o nel tempo: si sta avvicinando chi cerchi, o se ne è appena andato? È che quel dolore che provoca una perdita, la perdita dell’amore, deve in qualche modo aver sfogo, ma una ferita che è stata superata senza dolore… Quella è una greve macchia per l’anima: l’avrò sempre lì, davanti agli occhi, e saprò che il tempo usato per resistere, il tempo usato per… finire quel maledetto semestre, avrei dovuto usarlo per curarmi, per assaporare e vivere la mia perdita. Nella nostra esistenza è importante anche soffrire, ma il tempo moderno ci ruba ogni cosa, persino questo, questo diritto a rivivere, che condanna invece in una landa dove la luce non è mai abbastanza. Ormai ho già superato la mia perdita, e non posso più tornare indietro per sentirla davvero, ne ho nostalgia quasi quanto di lei…! E non so, guardo il sole, ne sento il profumo… Cammino, vado, passo dopo passo verso “qualcosa”, verso la fine? Certamente, tutti lo facciamo! Ciò che deve importare è il tempo in mezzo a questo strano percorso. L’essere umani, come umani siamo in questa civiltà, è un rapire il tempo. Se ci volgessimo invece al sentimento, alla cura della nostra natura e di quella da cui proveniamo, non sarebbe forse tutto più bello? Più tranquillo? Più dolce? Seguirò quel profumo, cercherò il leone che ha prodotto quel verso e morirò facendolo. Purtroppo, non appartengo al mondo, a questo mondo qui… “A quale mondo ti riferisci, allora?” Ad uno che c’è, da qualche parte, in fondo alle strade più impensate, sulle vette dei monti più belle e nelle case degli amanti. Il mondo che passa, meraviglioso, attraverso lo sguardo di ciascuno, il mondo dove ognuno vive nella sua anima e la sua possibilità si esprime nella maniera più chiara, luminosa! Mi riferisco al mondo delle strette, dei baci e degli addii, a quello delle grandi imprese e degli uomini che hanno detto sì alla loro esistenza e hanno guardato negli occhi i loro compagni con fiducia, con coraggio. Guardo ad un mondo che scorre, appare in attimi e scompare in catastrofi. Poi risorge in altre guerre e si nasconde nelle crisi morali. Il mondo dei sognatori, il mondo della naturalezza. Lo vedo, perciò deve esistere! [Tanti dettagli, tante piccole ere che cerco con lo sguardo, sempre speranzoso… Guardami piccola bolla di sapone, riflettimi solo per un minuto.]