
II discorso
Non avere voce in capitolo
Amarezza. Un’amarezza di quelle che ti colorano gli occhi di sale, acqua che increspa appena la loro superficie senza mai scendere… La rottura di una fede, l’allontanamento da un luogo, dalla dimora… Dove siamo nati noi? Perché è così crudele questo tempo votato al terrore ed al sopraffare? Forse è sempre stato così nella storia, ma solo vivendola davvero si può sentire quanto faccia male: siamo costretti a temere di uscire di casa, costretti a temere che il nostro vicino non voglia farci che del male. Chi, chi ci costringe a questo? Perché? Cos’è il terribile peso che schiaccia in questi anni l’uomo fuori dalla terra, dentro il suo alter-ego? Eppure guardandosi attorno esiste qualcosa di buono, ma da dove viene? Serve fortuna? Cosa occorre oltre alla presa della propria storia, al suo direzionamento? … Troppe domande rendendo liscia l’anima, che scivola qua e là, travolta dagli eventi. Ci vorrebbe un’anima secca, forte, per fermarsi e decidere. Chiediamo un po’ di silenzio, allontaniamo la brama di sapere cosa accade, e chiariamoci, prima: “a me, cosa accade, e come possiamo comportarci di fronte a questi eventi dolorosi che ci circondano?” A me cosa accade… Mi trovo su una strada bianca, di ciottoli puliti, pronto ad attraversare il fitto bosco della vita, che nasconde tante avversità, radure bellissime e altri esseri, ma non ho con me quella gaiezza, quella passione che dovrebbe derivare dal dire “Sì” a questo viaggio… L’entusiasmo c’è sempre stato, ma si dissipa via via, perde energia: sballottandomi contro eventi e persone che sanno solo assorbire senza a loro volta spingere. Finiamo come l’essere parmenideo… Sfere immobili, inutili se non per dire “l’essere è e il non essere non è” ma a che scopo? Non lasciamo così nemmeno pace ai morti: non sono… Ma potrebbero ben essere una spinta invece, anzi, una delle più forti. Il clima è ozioso e capriccioso, e i venti che salgono dalle gole delle grotte da cui si comanda il mondo stropicciano i poveri uomini, esseri ai loro piedi che non sanno che partito prendere, o si risolvono nella troppa foga da un lato, o nella rinuncia pecorina dall’altro. E pensare che quelle grotte dovrebbero rappresentare una vetta, un luogo sicuro e fidato… Ma no, questo orami non passa più nella testa di nessuno, non c’è più nemmeno spazio per il lamento. Esso si manifesta però in molte forme, poiché le anime non possono infine ignorare la loro estraniazione: terribili cose accadono allora, e come se mille aghi dall’interno spuntassero fuori, l’anima è tormentata e bela, o infuria, calpesta. Quanto vorrei non vedere queste cose, ma eppure, vedendole, non posso fare altro che prestare fede al mio giuramento alla terra: si deve esprimere un giudizio, esporsi, manifestare la propria idea e proteggerla con tutto il corpo. Anche se è difficile esprimersi e persuadere un’immagine, si deve avere la forza ed il coraggio di darsi da fare, in ogni modo. Urlare al vento… Un vento non futile, ma di trasporto, come una lanterna accesa che richiama l’attenzione del compagno: “dove sei, vieni in mio aiuto?” E ce ne sono tanti di compagni, alcuni mascherati, ma al nostro richiamo dovrebbero gettare la maschera, e riconoscere il loro riflesso nelle specchio dal vero sè, dice un bambino. Piangendo lo prendo tra le mie braccia ed esco, vado a vedere, racconto storie, storie vere, senza perdere l’abitudine di tener d’occhio il sole: sorge e cala, ogni giorno. E ogni giorno che sorge e cala, si consuma pian piano una candela. Stranamente sempre quella più bella cade per prima, come se la sorte fosse malvagia. “Egli persuase la necessità a condurre verso il proprio meglio la maggior parte delle cose” (il Demiurgo, nel Timeo) solo la maggior parte… Perché non tutte? C’è una necessità che tira l’uomo forse, a scegliere coscientemente il male? Ma no, non è così che stanno le cose. Noi possiamo scegliere, solo, spesso, ci prendiamo una “vacanza” diciamo, “per una volta…” ma questo è errato. Qui noi formiamo uno stato abituale, ci proviamo della possibilità di agire virtuosamente, — non dico sempre, per varie ragioni, non brutte, ma proprie dell’uomo: passioni, errori, debolezze di un momento, ma… Quando si dice “per una volta” non ci sono scuse, si perde di fronte all’onestà del sè. Piuttosto è meglio rimandare, affrancarsi e poi agire, ma evitare di scegliere e di giudicare: questo è il male — stiamo fallendo come spiriti liberi. Diventiamo schiavi di noi stessi, ma di quale noi? Questa è la giusta domanda. Non abbiamo una sola voce, e la nostra voce è, come un accordo, il risultato di almeno tre suoni — stranamente, sono proprio tre: es, io e super io; anima razionale, irascibile e concupiscibile — eppure l’accordo è uno, è armonia: perciò non si deve seguire una nota più che un’altra, ma essere sempre in pace sulle proprie corde. Abbiamo davanti a noi un’ultima scelta a questo punto, siamo agli sgoccioli, guardate attorno: o accettiamo di cantare in modo intonato o accettiamo di perire. Cantar bene significa saper vedere il mondo in modo attento, fitto, saper prendere la decisione di percorrere una certa strada e pensarci bene a questa strada, perché il tempo non vaga all’infinito insieme a noi, ma per un solo tratto ci segue. Saper esprimere un giudizio e saperlo esprimere in primis su di noi, costruire rapporti con altri che suonino bene con noi, ed allontanarsi da chi suona male, ma non lasciarlo solo — anche se per adesso è il contrario in qualche modo — in questo modo forse usciremo da questo vacillare? Proviamoci: prendiamo in mano le corde, le redini della nostra esistenza e vediamo di condurre un certo tipo di vita relativa a sè ed agli altri: la fantasia di un bambino, contro il meccanismo di un mondo… “Howard Roark rise” (prime parole di: “La fonte meravigliosa, di Ayn Rand. Libro che consiglio con tutto me stesso)