Non tutti sono come noi, per nulla anzi. Almeno se siamo in grado di pronunciare questa frase, perché non tutti possono pronunciarla nel suo senso più completo. E non significa che sbaglino. No, solo, può darsi che siano in una prospettiva completamente diversa dalla nostra, e non si può dire che uno che guardi in uno scenario marino dall’alto in basso un faro, sbagli, rispetto a chi nella stessa condizione guarda dal basso in alto lo stesso faro. Perciò non si può parlare di errore nel modo di vivere, ognuno sceglie il suo. Piuttosto si può parlare di modi migliori e modi peggiori, rispetto alla nostra prospettiva. Innanzitutto, però, va compresa la nostra prospettiva stessa… Infatti come possiamo parlare senza avere la terra sotto ai piedi? E non è semplice comprendere la nostra prospettiva, almeno, non sempre è semplice. Questo perché siamo strumenti a più voci, ci sono più corde in noi, e non siamo nemmeno sicuri di essere proprio noi quelli a suonare. Da qui possiamo cercare di capire almeno cosa le diverse corde in noi vogliono dirci. La più immediata e spontanea è quella dell’emozione, del pre-sentire: la reazione immediata che accompagna la visione o l’ascolto di qualcosa — in questo senso la sensazione è una dea benefica e che risponde al rito — un’altra voce è quella della prima espressione “razionale”, la prima risposta che la mente, con un qualche fondamento generale e assunto, ci spinge a pronunciare. Una prima risposta che può anche poi risultare errata, e veniamo infatti alla terza corda: una via completamente razionale e riflessa, — la dea terribile e oscura, che tutto dice ma in modo enigmatico rispetto all’accadere, sarà buono o cattivo l’auspicio? Dipende dalla riflessione, dai casi, dallo scontro col reale — che pensa, ascolta, dice in un qualche modo e riconsidera, poi si ferma e poi riprende… È la condizione che meno infallibilmente ci conduce alla realtà del nostro esser tranquilli. Questa è una mia immaginazione, eppure non si può star calmi, finché non si è dato accordo ed equilibrio tra almeno queste tre voci… Ma se due o addirittura tre sono in contrasto, che fare? Ad esempio la voce della ragione può, dopo varie considerazioni, andar ad affermare qualcosa, che immediatamente è in contrasto con ciò che la prima emozione ci aveva suggerito, e allora non sappiamo che fare: siamo sempre noi a dire sì e no insieme, ma chi dovremmo scegliere tra le due? Certo, ascoltare sempre l’emozione non è corretto, poiché ci porta a fare anche atti contrari alle leggi e alla consuetudine minima della società, ma fuori da questo sostrato che dobbiamo pur accettare, e non in questo modo, ma più per una certa scelta etica sul rispetto e la tolleranza, essa può darci la risposta che cerchiamo: fare ciò che sinceramente ci sentiamo di fare. D’altro canto la ragione, con il suo macchinare, può lavorare la materia dei fatti e ottenere talvolta robaccia, altre volte grandi soluzioni. Anche se, è da ammettere, che le più grandi intuizioni non da essa provengono, ma dall’antro oscuro del sè profondo — la scostante ricerca e la meraviglia di questo percorso verso il cuore di sè, non è per nulla facile, o immediata, anzi… Eppure tanto vorrei raggiungere e vedere, capire meglio questo profondo sè e seguirlo come un dio… Ma si deve saper interpretare i suoi segni, magiche voci sussurrate che emergono all’orecchio dei desti, che se non sono iniziati non possono capirle con chiarezza e cadono nella disperazione, ma, un non iniziato che non sa, è molto più cieco di chi intravede la luce e ne è abbagliato, eppure soffre meno — la sede della nostra dimora. Paradossale è allora il non poter tornare a casa, quando siamo proprio sulla soglia della nostra dimora. Dall’altro lato c’è la voce illuminata della ragione, che non sempre ci porta ad esser felici, ma spesso non riesce a darci una risposta pienamente soddisfacente. E allora si deve rimuginare, dialogare molto e molto, “fino a raggiungere qualcosa di sufficiente”. A volte ci vuole poco, ma nemmeno così potremmo fronteggiare alcuni temi particolarmente emotivi che accarezzano la nostra vita. Sembra che la strada corretta sia allora quella di tendere l’orecchio e ascoltare le due divinità insieme: il loro canto è sempre in noi, e siamo proprio noi a farne da sede, perciò abbiamo su di esso almeno qualche diritto, come contorno-padroni possiamo unire le due voci in duetto invece che lasciarle in uno spazio scomposto e indefinito. Possiamo allora raccoglierci in noi stessi e preparare una stanza ampia e pulita, in cui le due cantanti possano dialogare e dar spettacolo assieme, così da avere un solo teatro pieno, anziché due non vuoti. A questo punto c’è da chiedersi se tale mediazione è possibile: io credo di sì, in fondo ci sono certe situazioni in cui siamo in pace con noi stessi, e ci sentiamo sicuri, al nostro posto. Ecco, dobbiamo allora cercare di prolungare il più possibile nella nostra vita queste situaizoni, trasformarle in tutto, prolungare all’illimitato il concerto: ciò significa saper intrecciare i rapporti e le proposte che abbiamo di fronte in modo conforme al nostro suono. E allontanarci dalle stonature di qualunque natura esse siano. In questo contesto la verità diventa per noi ciò che effettivamente ci dona felicità, tranquillità e sicurezza. Ogni epoca dovrebbe dare questo ai suoi uomini, ma un uomo fuori dal suo tempo, che può fare? Deve crearsi attorno un altro tempo, vagare di luogo in luogo, piuttosto che finire straziato. E non è un vagare infinito questo vagare, no, infatti il mondo è così ricco che noi non possiamo nemmeno immaginare l’apertura che potrebbe attenderci dietro l’angolo. Perciò nel caso in cui non abbiamo ancora il nostro luogo si deve cercarlo. E non rinchiudersi in una gabbia, anche se ci sembra una gabbia dorata, ma se è maledetta… Che ce ne facciamo dell’oro? A me piace l’argento!
[Non a caso l’argento e non è il II a cui io mi riferisco, ma ad un metallo più puro, vicino al bianco e che meno tradizionalmente inganna, infatti, non è oro tutto ciò che luccica, ma l’argento ha un suo peculiare modo di risplendere alla luce del sole]
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