Sempre noi

Vogliamo davvero tornare indietro nel tempo? O forse, forse non vogliamo noi che il presente sia uguale al passato? Oppure… Ci sono momenti che non dovrebbero mai finire, bibite che non dovrebbero mai finire, sigarette che non dovrebbero mai finire. Sono tutti oggetti densi, pretesti che sono sempre davanti ad una persona. E noi, anche noi siamo di fronte. Così lontani, così vicini, ciascuno con l’altro. Mille barriere che fanno a pezzi la nostra storia, i nostri intrecci, reti… E note. Ambivalenti parole che vogliono significare, non si fermano al dire e tentano di far breccia nella lettura di quegli occhi, non vogliono vedere, non vogliono afferrare. Vogliono solo ascoltare e far emergere. L’abisso: premessa e limite della profondità con la sua superficie, altezza rovesciata, due culmini. Il mio e il tuo, anche se siamo stanchi potremmo stare insime per sempre, in modo speciale, non solo un’occasione, non solo un legame. I tessitori di sogni non sono qui, sono appena sopra di noi e i fili che ad essi ci collegano sono nelle nostre mani, se loro ci muovono, noi muoviamo noi. Mai nessuno ha mai mollato del tutto quei fili, nessuno hai mai del tutto rinunciato alle nuvole, al cielo. Lo vedi nella ricerca di sguardi, in un’intesa che si sa e che da sola si inganna, implicata come è nel flusso delle cose. “Cose”Lignee presenze che bloccano la strada ma che non sono: come le stelle nel cielo. Sì, le vedo, ma se avanzassi retto non mi scontrerei ad ogni passo con esse, c’è spazio. Solo infine arderei. 

Se chiudo gli occhi vedo ancora tutto. Non voglio tornare nel passato, non voglio che sia simile al presente. Non è possibile che il presente sia eterno, ogni giorno ha la sua specialità e cambia. Come una linea melodica, possiamo ascoltarla mille e mille volte, imparare l’atmosfera di ogni giorno e improvvisare su quegli elementi che ci stanno di fronte. E domani? Non so. Intravedo alcuni accordi, posso prepararmi. Posso programmare, proiettarmi e imparare ad affrontare il futuro. Ma la sua luce sarà sempre qualcosa di particolare, qualcosa di diverso, nuovo. Bellissimo. Non c’è routine che tenga all’occhio accorto e un giorno sarà completamente diverso, 

“potrà mai dirsi in qualche modo identico ciò che è completamente diverso?”

“Certo che no”

È. Sarà. Sempre noi, 
Il grano ondeggia leggero, carezziamo i suoi frutti e sapremo subito se il rischio di pungersi con le spighe è dorato o macchiato di sangue
Noi lo scegliamo.

Sembiante essente 

Un solo suono, “gneeee” diminuendo, fino a scomparire: lasciando solo un’assenza presente. Il vuoto. Spalanco la porta ed entro. Il posto è sempre quello: grandi occhi, labbra da mordere e il mistero, il già saputo solo intravisto che eppure splende nella sua autentica bellezza. È. La vedo, la sento, ma… I nostri universi sono differenti, mi ricorda l’Egitto, non tanto lei, quanto quella melodia e le lacrime, anch’esse: il vuoto. Silenzio attorno, ombre banchettano nei loro alveari, attendendo di uscire una ad una o insime. Combinate “in modo”; “disastri”Devastanti; sempre nuovo.

E correvano mille frammenti di ghiaccio mentre scendevo nella china dell’indistinguibile, ma dall’alto la luce era sempre attenta: vedetta di un sogno, vedetta del braccio teso oltre l’orizzonte: là, e qui. Roseo chiarore abbracci coccolante di braci le mie vie.

Vuoto: ciò da cui ogni cosa emerge, verso cui deve andare, che non può stare senza avere, si staglia tutto sulle mie dita, devo solo afferrare la magia. 

Magia, ma non artificio.

La sabbia del sonno viaggia implacabile e palpita ogni cuore. Le lanterne della notte con le loro falene, fedeli accompagnatrici, ci ricordano “accondiscenti”; “lei”

E i corvi gracchianti non sono mai stati così vicini e lontani insime, molte volte volteggiavano sulle nostre ali, ma, ora, è giunto il momento di vederli nella loro in-consistenza. 
Πρόνοια 

Προαίρεσις

Έρως

Occhio a occhio… Le ciglia si strofinavano come ali di libellula, producendo quel suono… Sì oh, quel suono, scalpiccio di ali, nel silenzio delle sue pupille quasi unite. I due respiri si incontravano, piano, sulle gote illuminate dal roseo tramonto della dispersione. Sorgeva libera una nuova unione, si librava nel cielo, con ali giovani e dalle piume tenere, sempre più su, giocando ad incrociarsi nella luce della bellezza, della felicità senza confini dell’amore. Una stretta, un profumo, un gusto. Tutto tornava perfettamente in quell’occhio ad occhio, persino il peso di lei sul suo corpo: incredibile come la memoria sensoriale possa spingersi a tanto. Quando era solo si sentiva sgravato, non era più in sè, gli mancava quella leggerezza: lei…Ogni parola aveva un suono diverso, e ogni tocco aveva il suo senso, la sua delicatezza, scorrendo, contemplante. Perché occhio ad occhio? Voleva vederla, vederla davvero, immergersi nella sua essenza, stringerla forte mentre i loro spiriti partivano insime. 

E poi, solo, baciarla, seguendo dolcemente con la mano le linee del suo corpo, sotto al seno, la pelle liscia e i capelli morbidi… come la guardava… Ammirato, vedendo di fronte a sè la sua stessa stima, la brillantezza che si specchiava nel suo colore, mano nella mano. Nessuna parola

Έρως 

Occhi.

I suoi occhi erano brillanti, verdi quasi quanto quegl’altri, quelli in cui, specchiandosi, aveva visto, aveva capito il mare che separava ogni essere dalla sua fine. Un verde, che traspariva sotto al marrone chiaro, quasi giallastro, e la pupilla che rifletteva la sua figura, in piedi, davanti allo specchio. Le lacrime avevano colorato il suo respiro e la sua voce cantava più soave che mai, quanto un vino pregiato, innocente, scendeva, sempre più velata, nelle viscere della sua anima: anche i combattenti di maratona avevano temuto, anche loro avevano compreso il rischio al quale si esponevano, ma nel momento supremo, avevano fatto la loro scelta: sì, combatteremo per il valore, sì, noi ce la faremo, mai la Persia agguanterà la Grecia… Mai l’alba dell’ultimo giorno vedrà un uomo piangere per le sue pene, si deve correre più veloci della paura, del timore. Si deve correre più veloci del successo, che intossica e ruba la vita dei nostri corifei. Non è quello infatti che cerchiamo, no, questa è un’altra illusione dell’uomo, di quel “deve” che maledice la sua natura, non è con il successo che ci si guadagna la felicità, la finalizzazione… Ma è con il valore, il coraggio e la pienezza di spirito che si può marciare trionfanti sui cadaveri dei nostri sospiri contorti. C’è la possibilità di fermarsi, di riprendere ciò che è nostro, ma mai dobbiamo disperderci nel flusso della storia ammagliante, che incatena. Uomini liberi, uomini che camminano con lo sguardo illuminato, che non sono forse ammantati d’oro, alcuni sì, altri no, ma tra loro si riconoscono con un tremito del cuore, tutto il resto trema sempre, ma come una foglia al vento, il respiro dei primi invece si mescola a quel vento, e dalle profondità degli abissi, alle altezze del cielo, è lo stesso delle aquile e delle balene.La sabbia del tempo scorre per tutti, rotola in ogni direzione, ma chi ha scelto di andare a Maratona, ha scelto di farsi proprio quel tempo, ha scelto una via diversa e sa quale sia la sua giusta canzone. La sente, la vede dinnanzi a sè, come il più semplice dei fenomeni: il giorno e la notte che si mescolano ed ecco che si fanno in uno, dietro alla grande porta di bronzo. Il desiderio di avere una vita splendente, che anche solo per un istante brilli dello sforzo e incarni la scintilla di ciò che non dipende più da nulla, se non da tutto ciò che è stato fatto, e dai propri alleati… Niente compromessi, niente imbrogli, niente malizie profittatrici: solo, un bimbo che ancora ingenuo, anche se vecchio come la terra, si stupisce di fronte ad ogni cosa particolare, ad ogni errore, ad ogni gioia.

Non capisco il vostro mondo, e quando scendo in esso sembro ridicolo, ma provate a salire da me, allora vedrete, non tutti rideranno, ma solo quelli che si rendono conto di esser privi di formazione… Ancora un ricordo antico, non io parlo ma vedo ciò che Platone intendeva. E capisco il suo vissuto. Forse non sarò mai di questo tempo, ma tenterò di formarmi come un uomo libero, un uomo amico, un uomo che negli occhi del suo vicino cerca solo la stessa luce che può intravedere nei suoi, e che sempre, insieme va alimentata… Lacrime prima della guerra, sono lacrime che sanno già che in fine, può esserci la vittoria.

Tracce 

Presso le mie fonti, mi abbevero spesso, generose acque ricche di sali del tempo. Da ogni epoca gli oscillanti pendoli di roccia seguono alternandosi le insenature del momento: c’è una strada, un percorso nella gola viva, ma non è unico, ci sono varie strade: le note di una musica, la mia, il mio accordo, le mie insenature e fiordi, che hanno sempre qualche segreto da svelare. Relitti, e nidi di gabbiano: il fiume diventa mare, oceano, e la profondità! La montagna sotto al mare…  E poi le montagna sulla terra, e il clima che muta, giorno per giorno: noi dovremmo essere in balia degli eventi, invece spesso i nostri gironi si susseguono uguali. Ripetere. Play. Stop. Ripetere. Play. Stop. Ripetere…

Però abbiamo anche in mano altre tracce, corde da tirare, senza invece farci trasportare come cagnolini dal fato, e dovremmo tentare di spingerci oltre la sottile linea del domestico, l’universo selvaggio, pericoloso, ma necessario per sentire davvero la nostra condizione, da cui, il pensiero profondo. Il lago strappato da un vecchio ghiacciaio, la profondità nel mezzo della terra: depressione di acqua che arriva a contatto con la lava, ebollizione e movimento.

Un pavone in volo stride. Il sole lo segue, noi camminiamo sotto ai glicini, mano nella mano…

Profumo di magnete, l’aria è elettrica, e la nostra emotività si risveglia, turbine di volontà che sprizza e trova quella intuizione geniale che ci trasporta oltre la storia, le eroiche imprese sono finite, meditiamo e prepariamoci alla prossima lotta,

Andare a caccia di quell’unica soddisfazione, costi quel che costi, troverò i tuoi occhi un giorno, e saranno pieni di luce! Dovranno, oppure preparati a diventare mera terra, non natura.

La soglia 

Perché ricerchi la gloria, perché vuoi vivere eppure morire? Come puoi aver questo desiderio e sentirlo tuo da sempre, se non hai mai visto Maratona?Quel tempo che corse assolato, salato di sangue e di mare, senza pace, e luminoso come la più alta forma del sole… Il valore eccezionale, la sepoltura sul luogo in cui si è periti, proteggendo una patria che ora non esiste più.

Mercanti di ideali che chiamano i giovani ragazzi a sacrificarsi | uomini, che avevano il dovere di essere liberi, e solo due cose avevano in odio: la povertà e la tirannide.

La luce, il buio, l’eccesso di granelli di sabbia, senza più una chiara ombra di luce sulla loro stirpe. La morte delle epigrafi, il valore eccezionale resta senza una morte adeguata. È condannato, eppure, può ancora talvolta salire sul suo carro, e vincente percorrere le dorate vie del contrasto tra dipendenza dal giorno, e memoria indelebile.

A Eleusi, a Eleusi vecchia perse la vita, lì fu seppellito, con pubbliche esequie: il suo valore era stato eccezionale… E il mio?

Lacrime per una morte impossibile, simbolo estremo della fiducia in un mondo in cui viviamo. | Condannati a credere di “dovere” condannati nel “si” l’impersonalità che schiaccia la testa al serpente fondatore di Tebe, lui vero demonio assassino, non quello, che con valore animò un’area desertica: ecco il deserto! Rinunci alla tua identità? Allora sei dei nostri, muori nel nulla, vieni… No! Terrificante palude della quotidianità! Lasciami, io ho altro da fare, anche se sono in te, gettato da chi più mi ama(?)

Ma solo, su una strada, auriga e due cavalli. Il governo dell’anima, verso l’alto orizzontale della natura.

Hanno svuotato ogni vaso, per riempire la loro storia di difficoltà, pian piano si sono presi tutto, e persino minacciano di rubare il nostro pensiero,

Lo stanno già facendo, l’hanno sempre fatto, grida la folle Antigone, prigioniera del loro stesso gioco, internata in un manicomio che non le lascia vedere il futuro. Solo Apollo può salvarci: egli non dice, nè nega, invece: significa! Fa cenno e lascia aperta la sfida dell’interpretazione… Dove sei?

Con l’acqua alla gola si cammina per strada, molti tollerano di affogare, ma altri guardano fuori dall’acqua, su, e scoprono la vera terra, non il fondale melmoso del mare…

Vorrei… Parola svuotata, che suona malinconicamente piena sulla dolce lingua delle stelle. Una torre d’avorio.

Vorrei due etti di mele, per favore

Siamo fermi a questo orami?

Perché invece non sostituiamo alla capra il cervo, non strappiamo di dosso ai corvi le loro piume e ce ne foggiamo un copricapo, schifandone le carcasse e dandole in pasto alle acquile di mare?

Scrostare tutto il deserto dalle macchie di sangue e petrolio, liberare le piume dei gabbiani dalla lordura. Là c’è una guerra, una guerra che chiama a gran voce un nome e si spettrifica in esso.

Non cancellare la memoria, non eliminare i dati, non rompere il piatto…

E le prospettive però sono diverse per gli altri, per chi fa un balzo e da pesce diviene rettile, poi uccello ma non uomo. Resta in quel gradino e mangia i vermi, i saggi precorritori della terra e gli insetti, saggi precorritori dell’aria…
Troppo aspra questa via, ritenteremo.
I pozzi dell’acqua pura, sorgente nuvolosa e cara. Spumeggiano le onde del mare, ma non si sa da dove vengono. Per fortuna la terra gira, allora c’è il vento, fa tanto caldo nel tuo seno, vorrei uscir fuori!

Il viandante sul mare di nebbia

Ci sono sempre due direzioni… Quale starà guardando il viandante? Cosa è il Mare di nebbia? Le sue spalle annerite nascondono il suo viso, ma io lo vedo, anzi, lo sento… Un sorriso calmo, il sorriso di chi non ha ancora terminato il suo andare, ma è sereno, fiducioso che troverà la sua meta… Intanto restano, le due direzioni: da un lato le spalle, ciò che abbiamo lasciato, qualcosa che magari ci rigiriamo a vedere, dall’alto, con una sorta di nostalgia già superata, il lasciato: quello che abbiamo deciso di oltrepassare, poiché non era con noi intonato… Sembra un dipinto annebbiato, e ha alcuni tratti più particolari, quelli che ci ricorderemmo persino con il tatto della mano: il ricciolo ligneo e caldo di un mobile, in una soffitta lontana, che profuma di tempo. Altri sono più nebbiosi, e, forse, non li vedremo mai più, abbiamo deciso così. C’è forse il rammarico di pensare a chi resta nel vecchio dipinto, ma… Il viandante è costantemente alla ricerca, non si abbandona a nulla: esplode, nella vita delle persone, ma può scomparire presto, o forse tardi, a volte mai, lasciando una traccia, una pila di sassi che indica il prossimo punto. Forse invita a seguirlo il viandante, comunque mai resta, sino alla fine. Là avrà il suo punto d’arrivo… Forse. Dall’altro lato c’è il nuovo, ciò che attrae il viandante è la sua strada, il profumo di una felicità in atto, che si realizza a chiazze di radura nella sua esistenza, c’è il bosco, scuro, diradante, e la radura luminosa, ma il percorso non è triste, è intriso invece di speranza, di speranza e di ardore… <Grecia> qui le nuvole splendono di un sole nuovo, quello del giorno che di volta in volta passa: si apre l’orizzonte del diverso e tematizza il sè del viandante, che nell’acqua si specchia, ma nelle imperscrutabili trame del suo viaggio solo a fatica trova ciò che cerca. Sa cosa cerca, eppure fatica a trovarlo: le strade sono molto più oblique nel mondo dei vivi, che non in quello dei morti. Ed è bene proteggersi da ogni ombra di morte, scalzandola con l’ombra della vita: il riflesso di ogni equilibrio, la faccia della moneta ch’è doppia, pure unica… Mai si sbaglia nel suo girare, e solo al termine del suo tuffo allora dice la sentenza: testa o croce. 
L’orizzonte del nuovo attrae e si spalanca, insime ancora ha tra i capelli i frammenti del passato, e il forte vento non scuote abbastanza la folta chioma per eliminarli, così si forma il ricordo e la spumosità del passato, che saggia tra lieve e greve ricordo, al fine di accendere una luce positiva alla domanda “cosa vogliamo essere?”
Ma forse, in un mondo che è così, forse qui, la domanda corretta è “cosa possiamo essere?” Triste chiasmo della realtà che volendo liberare imprigiona… Ma senza schiacciarsi sul mondo quotidiano, anche il più misero degli schiavi può essere un grandissimo uomo. E se lo è uno che ha raggiunto la vetta del suo viandare, questo è lo spettacolo che ci aspettiamo di vedere! Allora gettiamo da parte le cose costruite e ritorniamo ad un orizzonte naturale, naturalizzato, cosmico: ognuno nella sua irripetibilità ha un mondo da sostenere, e le regole trovate per dar un giusto limite al mare ch’è l’uomo, hanno finito per cancellare la sua stessa capacità. Ora noi siamo obbligati, ma prima eravamo liberi.
Crediamo nell’obbligo, dovremmo credere di poter vivere senza…
Un’isola si allontana da sola, e io ho fede che galleggerà ancora per molto tempo, e non c’è bisogno di esser oziosi: se il commercio esiste, è per il bene di entrambe le parti.
Chissà da che parte guarda il viandante, sta contemplando il suo passato, o osserva la strada che ancora si profila nel futuro? Forse ha in mente altrimenti il presente, tempo della meditazione, che si muove come spola tra i due… 
Cerca nella nebbia, e intanto, la sua tranquillità arde ancora: 
Έρως 
Θάνατος
Βίος 
Brilla ancora, brilla per il tuo valore, viandante. Avrai tanto da lasciare, e questi frammenti di vetro levigati dal mare non saranno dispersi, non immergerti nel loro mare, osservali, ma dalla giusta distanza, la tua meta è per altri “loro”. non dubitare.

Kleos

Il sorriso della pioggia: l’acqua scorre docile nelle mie vie! Canali festosi per le ninfe: ognuno ha in sè la forza di un fiume e le gocce che cadono giorno per giorno ampliano sempre più la calma corrente.
Vedo una spiaggia bianca, con la luce della luna che si riflette sulla superficie appena increspata dell’acqua… Tiepida lambisce i miei piedi mentre respiro l’aria profumata del mare. Il mio torace si eleva e scende, sente la forza della terra: un brusio appena impercettibile, lontano, la vibrazione che tutto avvolge incantandolo. Spirali di stelle scendono dal cielo e si infrangono nelle correnti: da dove viene questo suono? È come il muggito lontano di mille balene… E se fosse proprio la loro voce: noi non possiamo udire il loro canto, ma gli esseri più grandi dell’oceano — immenso sulla terra — dalle loro profondità abissali ci chiamano a cercare i diamanti che esse possono ammirare, ci descrivono uno spettacolo bellissimo! Conoscono il vento, perché anche se abitano gli abissi, quando emergono il loro respiro colora la terra e giunge a mescolarsi con il nostro. Balene delle profondità del cielo, volano fluttuanti osservando il passaggio degli anni… E appena ci avvicinassimo la vibrazione del battito dei loro cuori farebbe impallidire ogni nostro timore: ogni singolo rintocco spazzerebbe via ogni difficoltà ed ogni paura… Sì, troppo grande è la loro anima, e mescolandosi con la sabbia degli abissi, con l’aria alta nel cielo, e poi arrecandosi nei nostri polmoni, rende l’anima dell’universo indivisibile, media tra finito ed infinito: si estende per tutta la terra, e anche se possiamo pensare che sia divisibile, invece si sottrae ad ogni risorgimento. Mai ri-sorge, sempre vive. Immortale, muove il cosmo e muove se stessa. “Gioco di Zeus” è il divenire, così dicono i più sapienti, chi ha saputo vedere la totalità farsi comune. Intuizione che con ala pronta e aperta sorge ed emerge oltre il limite del cielo: vola! Uno sforzo titanico che nel suo tendere mostra la meraviglia, la drammaticità della radura: il rendere in quanto tendere: è sempre un passo troppo avanti, o troppo indietro: siamo alla luce, ma il bosco attorno si è ormai diradato e ci sfugge… Se solo potessimo levarci in volo li vedremmo chiaramente entrambi, ma sarebbe possibile? Sarebbe qualcosa di decisivo? Queste domande non colgono l’oggetto, esso infatti “non è” ride, e si ritrae, e anche dicendo così sbaglio. Ma volando e abbeverandoci del respiro delle balene questi eventi ci accolgono caramente nel loro proprio, nella casa dell’essere. Non si perde nulla non ci si mescola, il mio, io sono io, niente altro prima: l’essere ha il suo timbro, la sua tonalità e scontrandosi col mondo si trova! Si trova e risuona! Non si può negare e chiunque si nasconda dietro ad un’alterazione immaginaria in chiave, verrà immediatamente scoperto, almeno da chi avrà un po’ di orecchio, gli altri forse sono addormentati, e il dramma è che loro stessi sono la causa principale del loro stesso torpore, e ogni pausa, ogni conto di battuta li inchioda sempre di più alla loro triste sorte. Effimere sinfonie, ma chi si leva in alto ha il merito dell’armonia e l’eternità lo avvicina benevola, per un istante. Ma cos’è l’eternità confrontata ad una notte senza sogni? Un respiro di balena. Profondo, maestoso.

Κλεος