Un’isola nel parco 

Rami intrecciati…   Un laghetto pieno di tartarughine …e un lenzuolo a terra, colorato, con delle decorazioni orientaleggianti verdi e azzurre… Con giusto un tocco di giallo al centro, dove stavano loro. 

Le disse “Vedi, è molto importante questo, tutto questo parco, gli animali… Qualcuno dovrebbe difenderli! Credo che non ci sia nulla di più grandioso della natura, di più elevato di una montagna, di più profondo dell’oceano… Di tanto roseo come il tramonto, come quella nota che sai che sta arrivando in una melodia… La aspetto guardando tra gli altri passanti ogni occhio, finché non compare: completa l’accordo, rivela la tonalità. È maggiore… Perfetto e armonioso come la vita”

Lei lo guardava, ammirata, con gli occhi marrone-giallo grandi, brillanti e disse, leggermente, mentre già lo faceva:

“Posso appoggiare la testa qui?”

Scendendo leggera con il capo: i suoi capelli così profumati e caldamente arrossati, come il tramonto, sulla sua spalla.

Non se l’aspettava. Non aveva mai capito fino in fondo le persone, le trattava con attenzione, ma poi si perdeva in giochi arcani di rimandi, di scambi di libertà e di complicità non ancora compiute… Ma non con lei. Timidamente disse:

“S-sì, certo!”

Arrossendo leggermente, le cinse la vita… Lei guardò in su, verso di lui, sorridendo… E con i suoi occhi puntati nei suoi, come se non distassero solo pochi centimetri, ma miglia e miglia, disse:

“Vita… E poi, li hai trovati quegli occhi, tra la folla?”

Un solo soffio di vento le fece ondeggiare leggermente i capelli sulla fronte, giocando a nascondere e mostrare la sua espressione, scherzosa e seria insieme.

“Certo, disse.”

Si chinò poco, senza sforzo, e solo allora rispose davvero alla sua domanda.

Si baciarono a lungo, sotto quell’albero. Una vecchia quercia destinata a scrivere una lunga storia con le sue radici. Profonde radici, distanti ma legate alla loro origine, come i loro sguardi, i loro destini, le loro vite.

Quando l’acqua delle fontane del parco smise di scorrere erano ancora sdraiati insieme. All’ombra di un’ombra il tempo non può mai smettere di suonare la sua melodia, di scorrere senza mai invecchiare. Di aspirare ad una vita nuova, e all’incontro che strofinando ogni cosa insieme, giunge a conquistare la perfezione.

Una voce d’integrità

Due giovani vite legate, e le tenere rose, che acquattate dall’estate sanno che presto si dovrà affrontare un altro inverno.

“Ma finché non tramonta il sole, restiamo”

“Dammi la mano.”
Falling, fall: cadendo verso l’autunno…

L’aria nella terra

Respiro

Se dall’alto osserviamo una vallata, scopriremo che è piena d’aria… Immenso flusso che avvolge tutta la terra, fa frinire gli alberi e… Ha profumo.

Sulla cima delle vette sorgono i castelli, manieri, zone di protezione di una certa aria preziosa: chiunque vuole acquisire un valore deve avere la saggezza di produrlo.

Costruiremo castelli di libri, piegheremo l’aria con il legno per situarli nella posizione più alta. Lo spazio: fondamento dell’esserci.

Una parabola: un punto di luce cadente piega verso il basso come una canna ondeggiante al vento. Può una direzione spezzarsi? Può l’aria sprigionare la forza del terremoto? Come le candele volanti nel cielo, la loro aria calda è un altro tipo di aria, tocca quella alta, alpina, e si mescola con essa generando il battito del cuore dell’universo.

Due e il volo, …c’è sempre un medio, tendi la mano e avrai visto il tuo futuro.

Quando potrai ballare nell’atmosfera allora saprai domare anche i fulmini, la nostra vita è un valore che va mantenuto e guadagnato. Così gli uomini presero confidenza con il fuoco, la ruota… Le loro abilità trovarono il giusto responso nel respiro del mondo.

Un’altra alba doveva sorgere prima che si potesse vedere la bolla di sapone sciare dall’ugello e poi… … Volare 

Un’Ode

Questo articolo è dedicato ad una mia cara amica, oggi è il suo compleanno 

Quando è buio, e fuori il sole sta per tramontare… è il momento di aprire gli occhi! L’abisso dell’anima si apre e nel colore dell’iride giocosa appare la luce: splendido si alza anche il sorriso che vola cristallino con la sua voce.

Per anni ho scalato ghiacciai e attraversato piane irsute, e lei, con il suo delicato soffio, ha sempre vegliato sulle mie spalle. L’ombra di porte, di soglie che abbiamo attraversato insieme un tempo, mai ci divise, e nell’ultimo viaggio insime, ancora, come l’aquila nel cielo e la sua necessaria ombra sulla terra, saremo uniti dal sole.

Il calore dell’amicizia è un roseo fascio che racchiude in sè tutti i colori dell’arcobaleno. Quando si lascia osservare il suo profumo porpora ricorda l’antichità e insime il futuro. È una voce liscia, che corre nel discorso segreto che i due amici intrattengono tra loro, sotto alle parole: le onde di un mare ricco di tesori.

Insieme, reciprocità, parola… Uno scambio che richiede la forza del salto e il coraggio del tuffo, ma che si risolve poi nel caloroso abbraccio della stima, cantato dalla benignità del nostro giudizio.

Un solo inno è appropriato per questo giorno, uno di quelli che risuonerebbero fragorosi e delicati, tra le rocce delle montagne, con trombe che indicano un gusto di miele e stillano fino al mare la loro voce: il valore di chi ha sempre combattuto deve essere esaltato. Deve essere un esempio per ogni uomo che abbia deciso di tenere in mano i fili della sua vita, un monito per chi, inconsapevolmente, li ha lasciati, un incitamento per tutte le anime …e una preghiera, affinché il mondo sia un posto sempre migliore.
Buon compleanno Val, ti auguro il meglio, perché so che tu puoi raggiungerlo.

A.C

Il viaggio in noi

Partire… Stare. Tutto il fascino dell’America in quella persona.Si può stare a lungo in un posto, senza mai viverci veramente, solo il viaggio sembra nostro: il panorama che muta, fino a specchiarsi con i luoghi che la nostra anima riconosce. Così ogni viaggio lascio in noi un pezzetto di meta: ecco, quella montagna! Siamo quasi a Montecarlo, oppure, la rotonda da cui, inequivocabilmente, si vede per la prima volta il mare, scendendo sulla costa adriatica… Campi, oceani, isole… Perché restare? Noi non stiamo mai in un posto, piuttosto viviamo nel trascorrere del percorso e la nostalgia di casa è nostalgia di vedere paesaggi a noi cari, oppure oggetti che ci sono soliti, che ci accompagnano ogni giorno. Anche quel monumento che ogni mattina ci saluta per andare all’università, il tavolo in soggiorno, con quel segno in cui così bene si appoggia la gamba che cerca riposo…
Le persone… Le persone mutano, scorrono come il panorama, a volte costeggiamo l’oceano per kilometri, a volte per pochi metri, prima di sparire tra le montagne. Perciò sono solito dire che non c’è una casa, siamo noi la nostra casa, e noi decidiamo dove dimorare. Ma in primis dimoreremo sempre nel nostro carattere, come sembra dire Eraclito nel suo frammento.
 Ήθος άνθρωποι δαίμων 
Dunque, il partire. Per dove? Per un luogo che ci fa brillare gli occhi, per quella chiesa di Balbec, per Parma… Forse Venezia. Luoghi in cui ci si perde volentieri, peoprio per non restar delusi nelle aspettative. E New York, quante promesse, quasi tante quante Atene. Il linguaggio verrà… Ma prima occorre aver visto il proprio fare: senza un fine non si va da nessuna parte, fosse anche quello di svagarsi, o piuttosto, quello di passare di là, quello di vedere luoghi che resteranno in noi, quello di poter dire, un giorno, camminando sulla riva dell’Hudston: “Da questa parte si va nel luogo in cui per la prima volta la vidi”
Per vivere, si deve prima imparare a viver bene, altrimenti ogni mezzo sarebbe inutile. E per viver bene, importante è capire la natura dell’uomo… Per fare ciò si deve raccontare e vedere, ascoltare e passare. Tutti noi passiamo, ma i luoghi che resteranno in noi, le persone che saluteremo, con cui viaggeremo, e a cui daremo una mano possiamo sceglierle.
Πάντα ρεί …. Tutto scorre

E il mare…

Il mare è una cosa, e vede noi che ci immergiamo nella sua luce, nel suo sale. Osserva le coppie che camminano mano nella mano nei suoi pressi, ascolta le dichiarazioni fatte nel torpore della notte sulle sue rive, sugli scogli che da lui si innalzano verso l’aria. Il mare… Pieno di vita, pieno di… Cose. Eppure così solo. Sulla sua cristallina superficie increspata dal vento si specchiano le stelle, e la luna ha con lui un rapporto speciale. Uno fugge, l’altra rincorre… Caccia eterna che ogni notte e ogni alba si ripete ondosa. Si libera il bagnasciuga, ed emerge un mondo nuovo, tutta la vita e il mistero che il mare nasconde emergono generosamente, ancora, i bambini giocano, la gente passeggia… Ma nessuno ha ancora capito il mare. La sua voce si nasconde nelle conchiglie e nel soffio del vento che spennella le sue onde sullo sfondo dell’orizzonte. Triste il mare avanza e si ritira, ma non sa ancora a cosa tende, solo lo fa. E disegna sulla spiaggia onde sempre nuove. Gratta la costa, la modella al suo grido, come se quella non ascoltasse, e finisse per logorarsi muta. Ricco e povero il mare, dà e toglie. Ma, propriamente non ha nulla. Forse solo il sale — chissà perché dovevo esser salato? — ma non è un’agghindamento felice, al contrario indica trsite e melanconico il sole che tramonta. All’alba i gabbiani invece stridono e i pesci si librano nelle profondità in cerca di cibo. Questa è la compagnia del mare.Ma questo non è l’ambiente adatto, e la compagnia non è quella vera. Il bacino del mare è una prospettiva troppo ristretta, e l’oceano e i fiumi ci ricordano l’intero circolo d’acqua che compone la nostra terra, i ghiacciai delle montagna collegano il grido delle aquile auguste al profondo canto dei cetacei e le nuvole piangenti segnano il passo ridando un senso al tutto. La pioggia è la nostra segnovia verso il cielo, e ci ricorda che senza vapore — calore terrestre e gelo ancestrale — non si dà nulla. Consistenza volatile la nuvola che si staglia sul cielo azzurro e sul mare blu è la vera cosa da guardare.

Forma che nasconde e scopre.

Un solo grido e un solo mondo, pieno di vuoti e intervallato da pieni.

Ma è ancora presto, oggi si può fermarsi un istante di fronte al mare, guardare le stelle sul suo viso ed esprimere un desiderio, una promessa solo per lui. E vicino ad ogni fonte umida rinnoveremo il nostro voto, daremo un senso speciale al mare e conquisteremo la luna, niente più fughe, niente più scarti vuoti.

Una tartaruga marina nuota appena sotto la superficie, pare volare… È appena mattina, e una manciata di sabbia sta per finire.

Sei ancora qui? Oh tu…

Una lacrima vera, una passeggiata

Penteo 

Articolo che segue al mio Fedro, consiglio la lettura per apprezzarlo al meglio 🙂 

https://dustitoffblog.wordpress.com/2016/06/01/fedro/

Fedro tornando dal suo viaggio alla
grotta incontrò Penteo. Camminava solo, attraverso un boschetto di pioppi, con un bastone in mano: lo usavo per esaminare il terreno, le foglie e gli altri rami secchi, disegnando tante traiettorie musicali e oscure nel sottobosco. Oscuri erano quei disegni, come il suo pensiero, che crucciato si rivelava in uno sgaurdo amaro, per lo meno addolorata era la sua bocca, ma non piegata in una smorfia di dolore. L’ambiente circostante lambiva la sua figura, facendolo apparire come un bambino che giochi a cercare gli insetti tra gli arbusti con uno stecchino. “Penteo! Che ci fai lì nel boschetto tutto solo? Qualcosa ti fa soffrire?” “Chi è?” Ah, sei tu Fedro! Ah… Vedi, non so che dire, mi sento diviso in due… Sai, mi stavo chiedendo chi fossi, e improvvisamente, ho trovato che io non sono più io: Penteo. Infatti, quando sono contento e beato, — tu sai quando intendo no? Da buon poeta che si rispetti solo quando le muse mi carezzano col loro vento io sono in me — credo di poter vivere davvero come si deve, ma quando non ho il favore delle mie muse… Ecco allora che mi capita di chiedermi, se sono sempre io, quello che sento parlare, di cui vedo le mani, e di cui tocco i capelli, sentendomi mi perdo… Fedro…” “Oh Penteo… Credo di capire cosa stai dicendo. Sono molto preoccupato per questa tua situazione, perché so fin troppo bene dove può portare. Ma vedi, io sono appena stato in quella grotta dove si dice sia rifugiato l’aedo, il nostro amico, te lo ricordi?” “Certo, come potrei dimenticarmene…” “Ebbene, io ti giuro sul mio corpo che là egli è ancora vivo, e accoglie i suoi amici che vogliono incontrarlo, per parlargli come sempre… Quando lo si incontrava sulla strada…” “Tu vuoi farmi ancor più male Frdro! Perché mi ricordi quell’uomo e ti prendi gioco di me? Amaramente penso alla sua scomparsa ogni giorno… E vorrei davvero ci fosse ancora per potermi consolare della sua presenza nel mondo…” “Ah! Ma Penteo, davvero! Io ti giuro che lui è là, e anzi, ti dico, vai tu stesso a vedere! Saprà di certo farti rinascere a dovere. Anche io dopo averlo visto mi sento di nuovo bene, sono pronto a compiere la mia strada… Sì, addio Penteo. Mi spiace molto per le tue disgrazie.” Fedro si avvicinò a Penteo, e senza dire nulla lo abbracciò sorridendo: Penteo si sentì avvolgere come dalle morbide acque di un fiume, e strinse per un istante l’amico. Aveva riconosciuto quell’abbraccio, quella natura. Decise senza indugio di partire per la caverna indicata. La strada non era troppo lunga, ma nemmeno troppo corta, era una strada sufficientemente tranquilla e farla portava spontaneamente a vagare con il pensiero, a purificarsi prima di vedere la costa del mare, godere di felicità nel cuore, ed infine raggiungere l’antro. Da dentro si udiva qualcuno suonare il flauto. Penteo si precipitò nella bocca, cadde a terra e rotolò verso il fondo, sentì calore mentre scendeva ma non si ferì, solo arrivò di fronte alla parete finale tutto dolorante e pieno di sabbia, restò per un poco di tempo così: bloccato a terra, fissando la sua ombra proiettata dal sole dietro di lui sul fondo della caverna. Una voce lo risvegliò dal suo momento di disorientamento e stupore. “Penteo! Guarda chi si vede! Come stai, mio caro? Ti vedo addolorato e dolorante, sembra che tu abbia scoperto uno dei più brutti segreti dell’universo…” Penteo non credeva ai suoi occhi, li spalancò, lucidi, vividi come quelli di un cavallo di fronte al fuoco, o alla guerra, o a qualcuna di quelle cose a cui un cavallo non potrebbe credere. L’aedo che tanto aveva imporporato i suoi giorni più gioiosi ora era lì, e lo guardava benevolo in volto. Carezzò il suo capo. Quel modo che solo lui aveva di trattare con gli uomini… “Aedo… Allora sei davvero qui… Fedro aveva proprio ragione, me lo sentivo, da come mi ha salutato…” “Oh, Penteo, certo che sono qui! Come avrei potuto abbandonare i miei amici, la terra, quando il mio lavoro, ahimè, non è ancora terminato? E vedo che anche tu qui hai bisogno di esser curato. Pare che tu abbia visto uno spettro, proprio come il tuo omonimo, ingannato da Dioniso [mi riferisco qui alle Baccanti di Euripide]” “Sì, e in un certo senso proprio Dioniso mi ha preso: mi ha tolto tutto, la mia identità… Io non sono più io, aedo. La poesia, la mantica ha rapito me, Penteo. E chi è restato, qui?” “Vedo il tuo problema, Penteo… Quello che ricerchi non è per nulla facile. Tu sai, che quando il poeta canta, esso è portato dalle muse sulle loro vie. Esso abbandona la sua normale coscienza, l’anima esce dal corpo, e in piena tranquillità si sposta in una zona superiore, a lei altrettale. Ecco, Penteo, se tu ora guardassi quella zona, cosa vedresti?” “… Io vedo luce, e sento un forte vento che mi chiama il cuore, ma sono fermo, e sento come di non riuscire a muovermi” “sei fermo, ma non dove dovresti” “come?” “Guarda bene, accanto a te c’è il tuo carro, perché non sali, e ti fermi su quello? Non è la tua casa?” “Sì… Ma non ha i cavalli attaccati, come si può stare fermi su un simile carro? Continuerà a ribaltarsi in avanti” “Ma tu sali, Penteo, non preoccuparti,” Penteo si avvicinava al carro e vedeva che pian piano, questo si trasformava: era ora una sorta di asse, con due ruote e dei grossi mozzi pungenti da entrambi i lati. Al centro c’era una parte più larga adatta al conduttore, ma niente indicava la necessità di attaccare cavalli, ad un carro così strano. “Questo mio carro è davvero strano, non mi pareva certo così fatto… Eppure lo riconosco, questo legno… È proprio il mio. Bene, sono sopra aedo!” “Bravo, Penteo, ora fai attenzione: devi stare ben in equilibrio su questo carro, perché non hai i piedi per terra, se tu ti sposterai in avanti questo avanzerà, se indietro retrocederà , e così via. Quando tu canti la tua poesia voli, e sali verso le zone più pure dell’esistenza, ammantato di oro e bianchezza puoi osservare le cose, ammantandole con il tuo sguardo, puoi dar vita ai profumi, agli antichi sensi e a uomini che non sono più viandanti… Puoi dipingere senza colori, e puoi allacciare insime i più elevati sentimenti fino a costruire un arazzo meraviglioso. Ma quando sei sulla terra la sua forza ti ci tiene attaccato, è normale, Penteo. E tutti noi crediamo di dover starcene così attaccati a terra, perché abbiamo paura di cadere, come siamo senza ali! Ma chi ha imparato a sorvolare queste altezze, a sporgersi oltre la stanchezza del giorno, costui ha anche imparato a vivere nell’elemento aereo e alzandosi un poco, sopra il suo carro, deve stare in equilibrio!” “Se tu saprai mantenere la tua posizione, senza mai retrocedere dinnanzi al nemico, allora sì che sarai sempre in te: concentrato nello sforzo di stare in piedi, alato, sopra la massa dei granelli di sabbia e con lo sguardo che esige di tagliare in due un blocco di ghiaccio, per vedere cosa c’è nel mezzo…” “Aedo, le tue parole, come sempre, sono sagge. Io non vedo, eppure credevo di vedere… Proprio come il mio omonimo, Penteo. Mi hai iniziato al vero culto bacchico! Non sarebbe strano se ora mi mandassi anche da mia madre per farmi a pezzi… Sì, una vita nuova, espansa e dispersa per poi stare, uno nel tutto… Spezzare lo specchio. Non è facile davvero stare sopra al carro. Molti uomini nella foga si lasciano trascinare a terra e rotolano poi insime alle pesanti ruote, senza più riuscire a salire, e dato che vedono i loro compagni fare lo stesso, credono di essere in una condizione corretta e normale. Ma non è questo il giusto modo di condurre la propria vita… Lo so, ora lo vedo più chiaramente… Ma tuttavia, mi manca ancora qualcosa, aedo…” “Penteo. Non ti manca nulla, a nessuno manca nulla. Questo stesso modo di comportarsi ti pare sia manchevole, ma non sei obbligato a seguirlo, vedi, se ti alzassi solo un poco, e poi ti volgesti subito indietro, vedresti bene in che posizione ti trovi. Ma come tu dici, dalla terra, chi mai potrebbe conoscerne la superficie tutta senza levarsi in cielo, o su un monte? Il Citerone, magari. Quindi questo io ti dico, vai su un monte e osserva la terra, poi torna a casa e osserva te stesso. Continua e continua ancora, finché non avrai impresso dentro di te la giusta forma, quella dell’uomo, come io la disegnai, prima di gettarmi dalla scogliera. Deluso dagli uomini che tu racconti decisi di partire, e il dio, per punirmi, in questa grotta mi lasciò, affinché avvisassi e aiutassi gli altri a non gettarsi prima del tempo. So che è difficile, Penteo… In noi ci sono come due principi: uno dell’indolenza, l’altro dell’attività, sempre noi siamo indulgenti con noi stessi, e così diamo nutrimento al principio dell’indolenza, sin da piccoli, ogni cessione, ogni rimando ci spingono nelle fosse della terra. Ogni rinuncia, ogni spostamento di un problema, non tagliato adeguatamente con lo sguardo, ma gettato da parte intero, annebbiato affinché non ce ne ricordassimo più… Tutte quelle frasi comuni, quei giudizi ingiusti verso certe azioni che pure riconosciamo errate o insufficienti. Non devi mai arrenderti Penteo! Stai sul tuo carro e scaglia le tue frecce senza mancare il bersaglio, con la giusta forza. Valuta.” “Nutrirai così il tuo moto attivo, e lo renderai il più forte. Sono queste due naturali tendenze nell’uomo, ma la scelta su quale coltivare spetta a ognuno di noi, alla nostra anima.” “Tu hai visto che la sola poesia non basta ad allevare un uomo, finisce per sdoppiarsi in due per l’eccellenza che lo attrae magnetica, e poi quando le muse non lo carezzano si sente come sperduto. Ma c’è un tipo di vista e di giudizio che può salvarti! Quel richiamo e quel pensiero autentico che è la filosofia, Penteo. Queste due attività hanno in comune il modo di vedere, e la luminosità dello spirito, ma dove una è condizione temporanea, che avvicina al divino, l’altra è saggezza umana, che va alimentata ogni giorno.” “Apri bene gli occhi, Penteo…” Un velo silenzioso avvolse la caverna, le fiaccole e le luci che la illuminavano tremolarono, e l’aedo si avvicinò a Penteo, che meditava su ciò che avevo ascoltato, gli poggiò una mano sulla spalla, e questi, tanto era intento nel suo ragionamento, quasi non se ne accorse. Sentì, “Addio, Penteo,” intravide un sorriso aperto, una leggera stretta sulla spalla, e allora alzò lo sguardo per salutare il suo amico, ma non c’era più nulla. Sentì solo un soffio di vento che lo avvolgeva. Sorrise e si incamminò verso l’uscita della caverna. Era difficile camminare sopra al proprio carro, eppure, come un giovane cavallo, avrebbe imparato a correre anche in battaglia, contro al nemico, senza paura. Pochi passi fuori dalla foresta vide una fonte bellissima, si fermò, ispirato dalla musa, e fece questo il suo stile di vita. Osservare ogni giorno la fonte meravigliosa dei giorni, attraversare ogni sua azione con uno sforzo decisivo. Sì, era questa la vera via per salvare Tebe: non l’assoluta resistenza, n’è una fluidità che annebbia ogni cosa.