Articolo che segue al mio Fedro, consiglio la lettura per apprezzarlo al meglio 🙂
https://dustitoffblog.wordpress.com/2016/06/01/fedro/
Fedro tornando dal suo viaggio alla
grotta incontrò Penteo. Camminava solo, attraverso un boschetto di pioppi, con un bastone in mano: lo usavo per esaminare il terreno, le foglie e gli altri rami secchi, disegnando tante traiettorie musicali e oscure nel sottobosco. Oscuri erano quei disegni, come il suo pensiero, che crucciato si rivelava in uno sgaurdo amaro, per lo meno addolorata era la sua bocca, ma non piegata in una smorfia di dolore. L’ambiente circostante lambiva la sua figura, facendolo apparire come un bambino che giochi a cercare gli insetti tra gli arbusti con uno stecchino. “Penteo! Che ci fai lì nel boschetto tutto solo? Qualcosa ti fa soffrire?” “Chi è?” Ah, sei tu Fedro! Ah… Vedi, non so che dire, mi sento diviso in due… Sai, mi stavo chiedendo chi fossi, e improvvisamente, ho trovato che io non sono più io: Penteo. Infatti, quando sono contento e beato, — tu sai quando intendo no? Da buon poeta che si rispetti solo quando le muse mi carezzano col loro vento io sono in me — credo di poter vivere davvero come si deve, ma quando non ho il favore delle mie muse… Ecco allora che mi capita di chiedermi, se sono sempre io, quello che sento parlare, di cui vedo le mani, e di cui tocco i capelli, sentendomi mi perdo… Fedro…” “Oh Penteo… Credo di capire cosa stai dicendo. Sono molto preoccupato per questa tua situazione, perché so fin troppo bene dove può portare. Ma vedi, io sono appena stato in quella grotta dove si dice sia rifugiato l’aedo, il nostro amico, te lo ricordi?” “Certo, come potrei dimenticarmene…” “Ebbene, io ti giuro sul mio corpo che là egli è ancora vivo, e accoglie i suoi amici che vogliono incontrarlo, per parlargli come sempre… Quando lo si incontrava sulla strada…” “Tu vuoi farmi ancor più male Frdro! Perché mi ricordi quell’uomo e ti prendi gioco di me? Amaramente penso alla sua scomparsa ogni giorno… E vorrei davvero ci fosse ancora per potermi consolare della sua presenza nel mondo…” “Ah! Ma Penteo, davvero! Io ti giuro che lui è là, e anzi, ti dico, vai tu stesso a vedere! Saprà di certo farti rinascere a dovere. Anche io dopo averlo visto mi sento di nuovo bene, sono pronto a compiere la mia strada… Sì, addio Penteo. Mi spiace molto per le tue disgrazie.” Fedro si avvicinò a Penteo, e senza dire nulla lo abbracciò sorridendo: Penteo si sentì avvolgere come dalle morbide acque di un fiume, e strinse per un istante l’amico. Aveva riconosciuto quell’abbraccio, quella natura. Decise senza indugio di partire per la caverna indicata. La strada non era troppo lunga, ma nemmeno troppo corta, era una strada sufficientemente tranquilla e farla portava spontaneamente a vagare con il pensiero, a purificarsi prima di vedere la costa del mare, godere di felicità nel cuore, ed infine raggiungere l’antro. Da dentro si udiva qualcuno suonare il flauto. Penteo si precipitò nella bocca, cadde a terra e rotolò verso il fondo, sentì calore mentre scendeva ma non si ferì, solo arrivò di fronte alla parete finale tutto dolorante e pieno di sabbia, restò per un poco di tempo così: bloccato a terra, fissando la sua ombra proiettata dal sole dietro di lui sul fondo della caverna. Una voce lo risvegliò dal suo momento di disorientamento e stupore. “Penteo! Guarda chi si vede! Come stai, mio caro? Ti vedo addolorato e dolorante, sembra che tu abbia scoperto uno dei più brutti segreti dell’universo…” Penteo non credeva ai suoi occhi, li spalancò, lucidi, vividi come quelli di un cavallo di fronte al fuoco, o alla guerra, o a qualcuna di quelle cose a cui un cavallo non potrebbe credere. L’aedo che tanto aveva imporporato i suoi giorni più gioiosi ora era lì, e lo guardava benevolo in volto. Carezzò il suo capo. Quel modo che solo lui aveva di trattare con gli uomini… “Aedo… Allora sei davvero qui… Fedro aveva proprio ragione, me lo sentivo, da come mi ha salutato…” “Oh, Penteo, certo che sono qui! Come avrei potuto abbandonare i miei amici, la terra, quando il mio lavoro, ahimè, non è ancora terminato? E vedo che anche tu qui hai bisogno di esser curato. Pare che tu abbia visto uno spettro, proprio come il tuo omonimo, ingannato da Dioniso [mi riferisco qui alle Baccanti di Euripide]” “Sì, e in un certo senso proprio Dioniso mi ha preso: mi ha tolto tutto, la mia identità… Io non sono più io, aedo. La poesia, la mantica ha rapito me, Penteo. E chi è restato, qui?” “Vedo il tuo problema, Penteo… Quello che ricerchi non è per nulla facile. Tu sai, che quando il poeta canta, esso è portato dalle muse sulle loro vie. Esso abbandona la sua normale coscienza, l’anima esce dal corpo, e in piena tranquillità si sposta in una zona superiore, a lei altrettale. Ecco, Penteo, se tu ora guardassi quella zona, cosa vedresti?” “… Io vedo luce, e sento un forte vento che mi chiama il cuore, ma sono fermo, e sento come di non riuscire a muovermi” “sei fermo, ma non dove dovresti” “come?” “Guarda bene, accanto a te c’è il tuo carro, perché non sali, e ti fermi su quello? Non è la tua casa?” “Sì… Ma non ha i cavalli attaccati, come si può stare fermi su un simile carro? Continuerà a ribaltarsi in avanti” “Ma tu sali, Penteo, non preoccuparti,” Penteo si avvicinava al carro e vedeva che pian piano, questo si trasformava: era ora una sorta di asse, con due ruote e dei grossi mozzi pungenti da entrambi i lati. Al centro c’era una parte più larga adatta al conduttore, ma niente indicava la necessità di attaccare cavalli, ad un carro così strano. “Questo mio carro è davvero strano, non mi pareva certo così fatto… Eppure lo riconosco, questo legno… È proprio il mio. Bene, sono sopra aedo!” “Bravo, Penteo, ora fai attenzione: devi stare ben in equilibrio su questo carro, perché non hai i piedi per terra, se tu ti sposterai in avanti questo avanzerà, se indietro retrocederà , e così via. Quando tu canti la tua poesia voli, e sali verso le zone più pure dell’esistenza, ammantato di oro e bianchezza puoi osservare le cose, ammantandole con il tuo sguardo, puoi dar vita ai profumi, agli antichi sensi e a uomini che non sono più viandanti… Puoi dipingere senza colori, e puoi allacciare insime i più elevati sentimenti fino a costruire un arazzo meraviglioso. Ma quando sei sulla terra la sua forza ti ci tiene attaccato, è normale, Penteo. E tutti noi crediamo di dover starcene così attaccati a terra, perché abbiamo paura di cadere, come siamo senza ali! Ma chi ha imparato a sorvolare queste altezze, a sporgersi oltre la stanchezza del giorno, costui ha anche imparato a vivere nell’elemento aereo e alzandosi un poco, sopra il suo carro, deve stare in equilibrio!” “Se tu saprai mantenere la tua posizione, senza mai retrocedere dinnanzi al nemico, allora sì che sarai sempre in te: concentrato nello sforzo di stare in piedi, alato, sopra la massa dei granelli di sabbia e con lo sguardo che esige di tagliare in due un blocco di ghiaccio, per vedere cosa c’è nel mezzo…” “Aedo, le tue parole, come sempre, sono sagge. Io non vedo, eppure credevo di vedere… Proprio come il mio omonimo, Penteo. Mi hai iniziato al vero culto bacchico! Non sarebbe strano se ora mi mandassi anche da mia madre per farmi a pezzi… Sì, una vita nuova, espansa e dispersa per poi stare, uno nel tutto… Spezzare lo specchio. Non è facile davvero stare sopra al carro. Molti uomini nella foga si lasciano trascinare a terra e rotolano poi insime alle pesanti ruote, senza più riuscire a salire, e dato che vedono i loro compagni fare lo stesso, credono di essere in una condizione corretta e normale. Ma non è questo il giusto modo di condurre la propria vita… Lo so, ora lo vedo più chiaramente… Ma tuttavia, mi manca ancora qualcosa, aedo…” “Penteo. Non ti manca nulla, a nessuno manca nulla. Questo stesso modo di comportarsi ti pare sia manchevole, ma non sei obbligato a seguirlo, vedi, se ti alzassi solo un poco, e poi ti volgesti subito indietro, vedresti bene in che posizione ti trovi. Ma come tu dici, dalla terra, chi mai potrebbe conoscerne la superficie tutta senza levarsi in cielo, o su un monte? Il Citerone, magari. Quindi questo io ti dico, vai su un monte e osserva la terra, poi torna a casa e osserva te stesso. Continua e continua ancora, finché non avrai impresso dentro di te la giusta forma, quella dell’uomo, come io la disegnai, prima di gettarmi dalla scogliera. Deluso dagli uomini che tu racconti decisi di partire, e il dio, per punirmi, in questa grotta mi lasciò, affinché avvisassi e aiutassi gli altri a non gettarsi prima del tempo. So che è difficile, Penteo… In noi ci sono come due principi: uno dell’indolenza, l’altro dell’attività, sempre noi siamo indulgenti con noi stessi, e così diamo nutrimento al principio dell’indolenza, sin da piccoli, ogni cessione, ogni rimando ci spingono nelle fosse della terra. Ogni rinuncia, ogni spostamento di un problema, non tagliato adeguatamente con lo sguardo, ma gettato da parte intero, annebbiato affinché non ce ne ricordassimo più… Tutte quelle frasi comuni, quei giudizi ingiusti verso certe azioni che pure riconosciamo errate o insufficienti. Non devi mai arrenderti Penteo! Stai sul tuo carro e scaglia le tue frecce senza mancare il bersaglio, con la giusta forza. Valuta.” “Nutrirai così il tuo moto attivo, e lo renderai il più forte. Sono queste due naturali tendenze nell’uomo, ma la scelta su quale coltivare spetta a ognuno di noi, alla nostra anima.” “Tu hai visto che la sola poesia non basta ad allevare un uomo, finisce per sdoppiarsi in due per l’eccellenza che lo attrae magnetica, e poi quando le muse non lo carezzano si sente come sperduto. Ma c’è un tipo di vista e di giudizio che può salvarti! Quel richiamo e quel pensiero autentico che è la filosofia, Penteo. Queste due attività hanno in comune il modo di vedere, e la luminosità dello spirito, ma dove una è condizione temporanea, che avvicina al divino, l’altra è saggezza umana, che va alimentata ogni giorno.” “Apri bene gli occhi, Penteo…” Un velo silenzioso avvolse la caverna, le fiaccole e le luci che la illuminavano tremolarono, e l’aedo si avvicinò a Penteo, che meditava su ciò che avevo ascoltato, gli poggiò una mano sulla spalla, e questi, tanto era intento nel suo ragionamento, quasi non se ne accorse. Sentì, “Addio, Penteo,” intravide un sorriso aperto, una leggera stretta sulla spalla, e allora alzò lo sguardo per salutare il suo amico, ma non c’era più nulla. Sentì solo un soffio di vento che lo avvolgeva. Sorrise e si incamminò verso l’uscita della caverna. Era difficile camminare sopra al proprio carro, eppure, come un giovane cavallo, avrebbe imparato a correre anche in battaglia, contro al nemico, senza paura. Pochi passi fuori dalla foresta vide una fonte bellissima, si fermò, ispirato dalla musa, e fece questo il suo stile di vita. Osservare ogni giorno la fonte meravigliosa dei giorni, attraversare ogni sua azione con uno sforzo decisivo. Sì, era questa la vera via per salvare Tebe: non l’assoluta resistenza, n’è una fluidità che annebbia ogni cosa.
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