
La bambina e i rondoni di mare
Nel vento, che come seta sfiorava i nostri corpi, viaggiava sabbia cristallina, di un marrone rosato tanto profondo quanto il sentimento di fiducia nella religione. L’oceano era turchino, e i rondoni di mare fluttuavano tra i diversi soffi di vento, muovendo in cerca di cibo. Porgendo le sue innocenti mani, una giovane bambina offriva a loro il dono di preziose briciole di pane, sottratte alla sua merenda, affinché anche in loro la vita continuasse a scorrere, fedele. Aveva uno sguardo perso, i capelli appena carezzati dal vento, e nel suo profondo non si scorgeva nemmeno un briciolo di paura per l’esperienza presente, e il futuro che le si apriva davanti. Era come un cucciolo di gatto: felice di esplorare il mondo e arrampicarsi ogni dove, felice di interagire con quei rondoni di mare, tanto affamati, quanto leggiadri e gentili. Sembrava che tutto qui attorno avesse voluto rispondere al cuore della bambina: il mondo non era poi un così brutto posto in quell’epoca, su quella spiaggia, in quel momento. E davvero, sia il sole, che le correnti, che l’oceano, si erano fatti più gentili. Camminammo qualche ora sul lungomare, dipingendo nel cielo alcuni lievi disegni: fumi di sigarette incrociati, che si spalancavano all’ozio del primo pomeriggio. C’era una chiesa in cima alla scogliera: bianca, con il tetto a punta, semplice e nero. Proprio i colori dei rondoni di mare, proprio come se fosse stata disegnata da quella bambina… Dopo una lunga passeggiata ci fermammo in una zona in cui gli scogli avevano creato un piccolo specchio di laguna. Ci sedemmo accoccolati su un masso vecchio come l’intera spiaggia, forse il padre di molto granelli di sabbia, che ancora non troppo pronti per partire, per lasciare la dimora, gli lambivano i piedi, carezzandolo sulla sua antica superficie. Così si nutrivano di lui, e insieme ne ampliavano la vita. Questo sasso, così, non era solo qui ed ora, ma era, con tutte le sue parti, lontano e vicino, profondo e attaccato al suolo, grande tanto quanto il panorama, e abbastanza piccolo da permettere che noi due ci sdraiassimo su di lui, andando anche noi a incidere sulla sua forma, permettendogli di incidere sulla nostra. Sopra la scogliera dei pini di mare ondeggiavano leggeri, e un pittore disegnava una donna con una bambina, mentre salutavano l’orizzonte. Dopo un lieve riposo, ci spingemmo con i visi a guardare dentro alla laguna, per trovare e cogliere l’immagine dei pesci che sognavamo già di scorgere all’interno. Ma l’acqua lì taceva. Tutto era umido e silenzioso. La nostra immagine, sola, si stagliava sulla superficie salata dello specchio d’acqua e ci trasferiva dal mondo della terra, a quello del cielo, riflesso. Ora noi eravamo quei rondoni di mare, che andavamo a scambiare sguardi e battiti di cuore con la bambina che ci dava da mangiare, e lei aveva il compito di raccontare la nostra storia. Ogni prospettiva assumeva allora la sua lunghezza d’onda, come una parte essenziale della melodia di un presente, che risuona in ogni momento della presenza di tutti noi esseri viventi. In un incrocio di storie, di sguardi e di respiri, ogni singola prospettiva ha la sua importanza, e il dono più grande che chiunque possa fare, è quello di tendere le proprie mani in avanti, al fine di condividere con i rondoni di mare il proprio cibo.