Sono sempre stato qui

Il mio respiro si anima di fuoco questa notte. Sento una grande libertà che sale dal mio contatto con la terra. Per la prima volta sono libero, perché sento la divinità dentro di me che grida di gioia, e io le sono grato. Una sola nota è bastata a risvegliarne l’orecchio: io sono sempre stato qui, per me il mio io del passato non esiste più, e il mio io del futuro non esiste ancora. Eppure tutti questi siamo qui, ora. Noi stessi siamo l’intreccio di noi stessi, e la nostra eternità si dispiegherà nei secoli, nei millenni, giungendo da lontano. Quanti attimi eterni allora compongono la nostra esistenza? Quanti raggi di luce abbiamo da vedere, da vivere con altri? Basta un solo respiro, basta sfiorare la tua mano.

Questa è la divinità: essere nel proprio esistere come tutto in uno sempre. Io domani, io ieri e io oggi. Ciò è intendere l’essere umano come incontro. Non solo come incontro di sè con il mondo e altri uomini, ma anche di sè con se stesso in quanto essere storico che abbraccia già il proprio passato e verso cui si protende il proprio futuro. Questo prendere e ricevere è la cosa più effimera dell’universo, perché di fatto esiste come tensione a ciò che non c’è già più e tensione verso ciò che non c’è ancora. Ciò non vuole dire che si deve sempre languire al passato, o accecarsi del futuro. No, semplicemente significa incontrare la propria divinità: essere in quanto si è già sempre qui, come nodo di una trasformazione che comprende un’infinità di mondi.

Allora nessuno può andare perduto, ciascuno è impossibile da perdere: Non ha senso che io scompaia, perché se io sparissi, allora, tutto ciò che mi ha toccato, e che io ho toccato, sparirebbe con me. Ma io, noi, siamo qui!

Così il bene e il male si fondono per poter dare alla luce la vita, e la vita si infiamma spalancandosi sull’eterno. Senza l’eterno non c’è vita, senza trasformazione, senza bruciatura e guaritura non c’è realtà. Solo una lacrima contiene già tutto quello che io sono e scendendo da una guancia umida e fresca e canuta insieme si infrange nell’oceano del nulla, perché il nulla è anche eterno, e tutte le cose sono nulla. Ma insieme, insieme formano la maglia più resistente e più indistruttibile del possibile e dell’impossibile. Ogni lacrima è importante con la sua differenza di sale, con le diverse luci che ha emanato, ma insieme essa stessa non è che il suo stesso percorso, la sua stessa origine e la sua stessa fine all’interno di un ricettacolo che è l’universo. Non piangete per la paura, non piangete per la tristezza, però. Ma piangete per la gioia di esistere come la storia di voi stessi. Piangete commossi perché qui è l’eterno e se qualcuno è in grado di toccarlo, questi siamo noi, non io, ma proprio noi.

Sento ancora il respiro di fuoco che arde nel mio cuore, nella mia gola. Le vene pulsano di nuovo come “spirito che taglia nelle carni” e la cosa più misteriosa di tutte è che sono sempre stato qui, e che tutti gli altri, anche loro sono sempre stati qui. E la benedizione più grande dell’uomo, è che, insieme, tutti possono giungere a vedere questo infinito ed esserlo pienamente.

[si può provare a vivere da soli, ma non è questa la meta. La meta è vivere insieme per scoprirsi come la propria collana bruciante di gioia di io.

Io sono solo nel tempo, io sono solo perché c’è anche l’esistenza. Io sono solo perché intreccio la mia luce con altri, e loro scelgono di fare lo stesso con me. Questo è l’eterno io, nel bene e nel male.]

La mia rivelazione è: “finché la pioggia continuerà a cadere, non potrà mai ardere a pieno la tua fiamma.”

III discorso, anche il dolore

…e per questo essi si trasformarono in una doppia lama sanguinante essa stessa, altri persero la voce ma non per questo gettarono la loro fine seppure grandemente soffrivano

Il mondo ridotto ad un colabrodo di emozioni. Perché non esistono gli angeli nella storia? Chi è quel maledetto che impose alle favole di parlare solo del demonio? Le persone dimenticarono come salutarsi, le persone dimenticarono come si faceva ad alzarsi il mattino per andare a incontrare chi abitava con loro.

Un giorno un lampo di sole scavalcò la tempesta d’acqua che separava un uomo dall’altro uomo, e quel giorno un nuovo orizzonte vide la luce. Gli uomini cominciarono a conoscersi, a riconoscere i loro errori, a riconoscere che il vago senso di insoddisfazione che li dominava non era altro che il fiore spuntato naturalmente dai semi avvelenati che ogni giorno inalavano e senza saperlo, piantavano. Ma in verità, oggi, lo sappiamo bene cosa stiamo facendo: lo sappiamo quando diciamo di no, quando ci inabissiamo nella distanza dalla nostra anima intesa come gente. Non c’è più l’idea di una comunità appena alzata, un poco sopra la terra, che ignora le distanze ed esiste connettendo tra loro tutti gli esseri affini, annodando anche nella loro relazione il diverso, affinché essi tutti possano continuare a muoversi, e non restino fermi. Terrorizzati gli spiriti degli uomini oggi serpeggiano da un occhio all’altro, guizzano come pesci sfuggenti non appena si fissa il proprio fuoco nel loro. È così distante la nostra umanità, che ciascuno può rendersi conto, di tanto in tanto, di non essere io. Chi c’è? Chi c’è? Chi c’è dietro quegli occhi? Le mani stringono ciuffi di erba che non si strappa, non si secca e non si vede. Ma se solo ciascuno, come talvolta capita, solo guardando il suo con-presente negli occhi spalancasse una porta, assaltasse un muro e… dolcemente, con gentilezza esultasse in un saluto: “eccomi, ti saluto, tu, uomo che non conosco, ma che trovo sul mio percorso, che per fortuna trovo e poi magari lascio, che per fortuna esiste e mi rende possibile sapere, aprirmi, anche combattere, vincere e perdere, ciao. Raccontami qualcosa e io lo racconterò a te, ma fallo davvero te ne prego, poi io, noi, ti diremo qualcosa.” Allora, nascerebbe l’arcobaleno. Gli uomini prenderebbero a comprendersi e non a contrapporsi, anzi a ricomprendersi. Cosa non si può lasciare da parte? Cosa sarebbe questo interesse pressante che spezza ogni altro anelito? Perché ora lo dovete tirare in campo? Perché sacrificare la vita a spacciarsi uomini evoluti? Non vedete le vene pulsanti nel vostro corpo? Non vedete il vostro cuore che infuria all’interno delle città, che grida perché? Ad ogni “notizia”? Ma forse non c’è più nemmeno questo, forse l’oro è stato tanto prosciugato che gli ultimi giacimenti sono ormai troppo profondi, e non resta che cacciarsi a vicenda sotto al miglior gatto, da topi. Questo giorno auspico che mai giunga su questa terra. Combattiamo, uomini che hanno grandi orecchie e occhi buoni, quegli uomini che i mendicanti prendono di mira, combattiamo finché è possibile, perché questo mondo è anche nostro, e finché ci sarà vita il nostro compito sarà proprio quello di fare maremoti, di annunciare ed ascoltare fino al tempo in cui forse o loro o io o voi avremo capito.

Essere qui, presente 

Per tutto questo tempo sono sempre stato qui

Un mondo folle impazzito e selvaggio. Questo grazie al cielo ci troviamo davanti. Un mondo del caso e dell’imprevisto. Questo mondo ci chiama e ci chiede di metterci di fronte a lui e di ascoltarlo prima di parlare. Però quello che lo scienziato e l’occidentale vorrebbe avere oggi dinnanzi è un mondo Pacifico, regolato da leggi e che ascolta prima ancora di aver finito il suo discorso. [ e quando questo discorso sarà finito nessuno potrà più fare a meno di ascoltare ] Allo stesso modo si è cominciato a trattare con gli altri uomini: ripetere. Ma dare retta, questo è quello che dobbiamo ricominciare a fare, o forse devo farlo solo io, o almeno io. E dare retta non solo a noi stessi nelle nostre molteplici presentazioni ma soprattutto all’uomo o alla donna che abbiamo di fronte. Perché ha scelto di dirci questo o quello? Perché ne parla in un modo o nell’altro? Scopriremmo così che molto più spesso di due o tre volte nella vita dovremmo sentirci onorati. 
Proprio come le montagne svettano dalla terra e si mostrano al cielo con la neve, così svetta in me una colonna custode di fuoco e mi chiede solo di poter illuminare tutto questo. Dovrò esserne infine capace!

Il tocco della commozione 

Una delle sensazioni più beate, quando gli esseri che non ci sono più(*) decidono di farci il più grande dei regali, poggiando le loro dita sui nostri occhi, e baciandoci la fronte, abbracciandoci sfiorando con le loro mani il nostro collo, e con i loro capelli il nostro petto, che per l’emozione sobbalza, è la commozione.Il pianto che accorre libero amplificando lo splendore degli occhi e che mai andrebbe fermato. Sempre versato.

La cosa migliore che un uomo possa mai desiderare è commuoversi per qualcuno e vivere davvero con lui il momento, o la storia che gli ha donato.

Solo allora tutto appare pieno, giusto. Naturalemente due cuori si cercano, e si ha un contatto perfetto: un dolore o una gioia senza domande e risposte. Un dolore o una gioia che spezzano le catene dello spazio e del tempo e infrangono la nostra storia con un momento eterno. 

Per questo, vale la pena di vivere.
(*) non intendo i defunti, ma esseri misteriosi e grandi. I responsabili di quello che avverrà, gli spiriti guida che abitano in noi. 

Il selciato di Venezia 

Quelle stesse pietre che sono qui da centinai di anni e hanno accolto su se stesse passi di diverse persone, finanche a presentare dei solchi: quei segnalibri dovuti ai grandi romantici che amavano percorrere la loro passeggiata, oggi sono ancora qui, e si offrono al nostro vagare per Venezia. Ogni segno su questa pietra è felice e racconta una storia, anche triste talvolta. Potremmo lavorare, e creare solo a partire dai segni su una pietra del selciato di Venezia: ognuna di esse nasconde infinite storie ed universi. Immaginate tutta la città!

Oggi ho questo sprazzo di festa, questa dolce spuma di coriandolo che mi ha fatto comprendere la ricchezza di quello che sta sotto i nostri piedi. Allora ogni cosa ha la sua importanza, e lo stesso camminare, lo stesso calpestare assume un senso nuovo di rinascita, rinascita di storie, persone, animali, eventi… perciò io amo ogni percorso e Venezia in particolare, anche se questo vale per ogni città, e in un certo senso per ogni cosa. Questa è la meraviglia dell’esistere, e anche noi lasciamo il nostro piccolo segno esistendo.
Consiglio di adottare parti di cose. Vivete le loro storie e dategliene di nuove! Fate attenzione ai piccoli segni che informano e ridanno vita alle città dell’uomo e ai luoghi della natura.

Comprendere sè a partire dal mondo 

Dobbiamo ricordare che nelle persone esiste una concezione di noi, di loro, e del mondo completamente diversa da quella cui noi siamo abituati e che tendiamo a considerare assoluta. Se si riuscisse a capire il criterio di composizione con cui ci si fa un’idea di una persona, ma anche di una cosa, si potrebbe comprendere più a fondo il nostro modo di dipingere il mondo, di vedere il mondo. E se ne potrebbe poi ricostruire la storia nella nostra vita, grazie ai ricordi.

[paradigmizzazione del metodo usato da V. Ja. Propp nella Morfologia della fiaba]