Comprendere sè a partire dal mondo 

Dobbiamo ricordare che nelle persone esiste una concezione di noi, di loro, e del mondo completamente diversa da quella cui noi siamo abituati e che tendiamo a considerare assoluta. Se si riuscisse a capire il criterio di composizione con cui ci si fa un’idea di una persona, ma anche di una cosa, si potrebbe comprendere più a fondo il nostro modo di dipingere il mondo, di vedere il mondo. E se ne potrebbe poi ricostruire la storia nella nostra vita, grazie ai ricordi.

[paradigmizzazione del metodo usato da V. Ja. Propp nella Morfologia della fiaba]

Da Venezia a Padova 

Ci sono modi diversi di coltivare il dolore e la tristezza nella musica e in molte altre arti. Alcuni hanno una profondità di pensiero davvero lampante e apprezzabile, ma la usano per auto infliggersi dolore e appoggiarsi alla storia cattiva. Invece altri esprimono con infinita delicatezza il loro dolore e rendono un servigio immenso all’umanità, poiché trasformano il brutto in bello, il triste in commuovente e infuocano gli spiriti dei grandi patrioti della vita. 

I momenti critici dell’esistenza, la guerra e la balena 

Così come siamo capaci di godere per il piacere e il bene, allo stesso modo dobbiamo essere capaci di godere anche del dolore. Infatti l’uomo è vivo ed è naturale che esperisca sensazioni ed eventi piacevoli sia sensazioni ed eventi dolorosi. Senza dolore non c’è una delle più importanti ambizioni dell’uomo: l’ambizione della rivalsa, l’ambizione al bene. Perché mai uno dovrebbe volere il bene se tutto è già buono? Ma spesso succede proprio il contrario e l’uomo sembra volere affondarsi da sè con il suo dolore. Lo riconosce, talvolta lo nomina anche, ma invece di goderne, di mangiarlo tutto e viverlo a pieno ci si siede sopra. Questa è la sua fine. Non per forza si deve stare bene, ma assolutamente sbagliato è covare sulla propria interiorità, stare nel disagio e non finire di viverlo, trasformando una fase — anche il bene è una fase — in una condizione cronica. A volte può essere duro digerire un certo male, o un certo bene, ma solo in questo modo si può stare all’esistenza. Altrimenti si è in una nebbia d’esistenza, in cui il nemico è sempre all’agguato, le fasi del vivere non compiono il loro normale corso, anzi, si interrompono, e resta solo la costante condizione di rischio, con le sue normali salite e ricadute. Io propongo di andare in guerra, di assaporare il proprio stesso sangue, di scottarsi con se stessi e di incollare i propri occhi ai propri occhi: fare come fa la balena. Cioè essere capaci di immergersi nei propri abissi, ma anche di riemergere per respirare. Essere noi nelle nostre diverse sfaccettature, investire della responsabilità dell’esistere la nostra interiorità, senza mascheramenti, nebbie, o scioperi (reclusioni e nascondinenti delle nostre rappresentazioni del mondo, delle cose e delle persone). Allora questo come si può riassumere? Direi, come ho sentito in un anime — Terraformas — ridete quando siete felici, piangete quando siete tristi e urlate quando ne sentire la necessità. E infatti questo è essere in guerra. E anche non cambiare argomento o non mettere sul tavolo altro da quello che si dovrebbe dire è essere in guerra.Questa è la mia personale via, quella che penso sia utile seguire. Ma il mondo è enorme, e c’è altro da sapere e imparare. Tuttavia ritengo che un uomo abbia enorme potere sulla sua vita, molto più di quanto si potrebbe immaginare. Figurarsi un atto, visualizzare certi gesti o nutrite fino in fondo nella mente una certa emozione, sono fatti che in questo periodo mi stanno aiutando a comprendere di più il mio modo di fare, i miei desideri e le mie aspirazioni. È come esser nella foresta: ci sono pericoli, bestie, tracce e la tecnica che il viandante, che l’uomo delle genti della foresta, conosce per sopravvivere. Spiriti… tanti io si manifestano davanti all’uomo nella foresta. Ma in fondo è sempre qualcosa che, almeno latentemente, noi conosciamo. E allora viene bene l’induzuone (il camminare da quelle cose appena dette più che si può su su, fino alla loro origine, o perché). Ben vengano i segni, ben venga il dialogo, ben vengano gli amici il piacere e il dolore. Ben vanga la vita come intreccio di relazioni ed esperienza. Se saremo capaci di stare all’esistenza e di estrarre la spada dalla ferita per potercene procurare altre, allora, forse, nel momento fatale potremo volare via verso…

fine

La sfida dell’uomo tra il suo oggi e il suo ieri

Oggi si fa fatica ad essere noi. Da ogni dove siamo bombardati di caos: notizie, mode, affezioni, ricerche, desideri delusioni e lampi di sole. I confini del mondo sono sottili e anche i nostri confini fanno sempre più fatica ad contenere un fuoco che rischia di uscire, di consumarsi e spegnersi. Si vede negli occhi dei passanti, nelle espressioni che sobbalzano come pesci fuori dal fiume, per abboccare.Al contrario il primitivo si identifica identificando: cerca di essere. È una tartaruga galleggiante sospinta dalla corrente in un fiume ricchissimo di pesci, vaste correnti e alghe che anch’esse devono costantemente cercare di essere e riempiono e sono riempite grazie all’ultimo frutto della natura: la cultura. Questo processo di fiducia estrema che taglia nelle vene e radicalizza la domanda sul mondo, la domanda sull’io oggi è completamente scomparso. Invece si cerca un controllo, si perde di vista l’insieme di tutte le cose.

Ci vuole esercizio per mantenersi accesi, per non cadere nell’assenza di sè, per non rischiare di sprofondare negli abissi senza più il desiderio di tornare a emettere il proprio soffio in superficie, come una balena, per irrorare l’aria di tutti gli esseri e riassorbirne una parte. Talvolta ci si perde, si sente di essere in pericolo, o di avere uno strano senso di tristezza, di stanchezza. Cosa è? Non è la perdita della propria fiamma? Non è la mancanza di interpretazione e formazione, di creazione, e di… complicità elevante?

E allora cosa può spingerci alla riemersione? Io credo sia il contatto con le cose, l’azione verso e la ricezione partecipante: l’essere-per. Una costante tensione volta alla libertà come progressiva costruzione di fronte alle condizioni di ciò che abbiamo deciso di chiamare “è”. 

Un giorno camminerò per la strada, un giorno avrò una casa. Con chi sarò, dove mi troverò? Non posso saperlo. Posso solo tentare di non spegnermi, e di mantenere questo senso attivo per il più lungo tempo possibile. Se di fronte alla mia morte, se di fronte al momento fatale saprò ancora essere pronto a desiderare di scoprire “cosa c’è ora? Cosa mi aspetta ancora?” Allora saprò di aver vinto la guerra. Non altrimenti.

I santi stanno tornando! 

Perché gli scarabei galleggiano sull’acqua del fiume e proprio in questo tratto ce ne sono tanti? 
“i santi stanno tornando! Sarà di nuovo pace tra gli uomini, tutti saranno salvati e convertiti al vero dio che con la sua grazia dona il Paradiso agli uomini!”

“Cosa vai dicendo? Folle! Demoni! Demoni sono quelli. Ripetitori maledetti che incarnano uno spettro antico che ormai ha fatto il suo corso, gli indigeni sono stati strappati dalla libertà dal suo urlo salvifico, lui, insieme ad altri demoni di altra razza hanno perturbato la terra scavando nell’animo dell’uomo e togliendogli la sua fantasia, la sua intraprendenza e vi hanno sostituito la fede e la fame speculare”

“‘Deve essere così’ è una frase pericolosa, che un altro demone ha incastrato tra gli anfratti delle frasi e dei discorsi degli uomini! La scienza non ha solo preteso di descrivere il mondo in modo accurato, così che tutti potessero fare di meglio, ma ha voluto insinuarsi nelle pieghe della parola spezzando i legami che questa aveva con la spontaneità e la naturalezza dell’interpretazione. Il vero ha rubato il posto che doveva condividere con il falso. Usurpatore di un trono, legittimo possessore dell’altro ha instaurato un regno di terrore dove l’efficacia è stata spazzata via. La realtà è stata totalizzata dai santi e dai lumi e non c’è più spazio per l’indigeno, per il mago e per gli uomini” 

“Gridano da ogni dove che l’individuo ha conquistato il mondo e che perverte la mente degli uomini separandoli tra loro e spacciando ideali, impastando trame opportuniste e cancellando ogni traccia di solidarietà e di bene. È il mondo moderno dicono i santi, e la scienza passa sotto a questo attacco, ‘per la scienza!’ Ma non si rendono conto che quello che dicono non è altro che menzogna e ripicca, criticano il non individuo, l’essere che non è mai, perché non sa cosa vuol dire “essere” fuori da quello che le teorie in superficie oggi — ma che potrebbero cadere sul fondo dell’oceano domani — dicono. Atlantide è pur caduta sul fondo del mare”

“Non esiste l’individuo e non esiste la società. C’è solo un cumulo di macerie di un gruppo di selvaggi reali che ha trasformato il mondo dei selvaggi naturali e dabbene in uno specchio. Che ha voluto mangiare tutto e non lasciarsi sfuggire nemmeno un boccone di grandezza. Perché i grandi vengono trasfigurati in santi o uomini con ideali comunitari, ma nel loro senso — il significato che loro danno a queste parole — sporco di sangue.”

“Se i santi vogliono tornare su questa terra dovremo scacciarli con ogni forza, gettargli addosso i testi di tutte le religioni che pretendono di superare e fare lo stesso con ogni altro credo che si pretende universale. Quell’universlale che è solo pretesa, non assenza e slaccio.”

“Lo slaccio libera perché lascia fiorire. La libertà dal volere è essere in grado di volere quello che vogliamo davvero. Se ci chiedessimo perché nel momento in cui vogliamo essere più liberi, affermiamo la più alta libertà, proprio in quel momento ci sentiamo più imprigionati, dovremo rispondere ‘cosa dici, fratello? Non capisco le tue parole: mi appaiono gravate dal vizio della mancanza di mancanza’ la libertà può bene essere un vuoto da riempire con la nostra interpretazione. Non assenza di vincoli, perché questo presuppone dei vincoli e richiede l’azione violenta dello slaccio. Invece lo slaccio che diciamo noi difensori dall’attacco dei santi è uno slaccio che va visto come quel movimento che il fiore fa quando esce dal seme e poi dalla terra. Ha davanti uno spazio e interpretando cosa deve fare procede. Non sa cosa deve fare, perché non ne può avere coscienza, direbbe la scienza, perché vuole, direi io.”

“Ma ai santi e all’uomo giustamente fa paura questa libertà perché sembra una di quelle che non imprigiona e non impedisce in alcun modo. Si sentono minacciati, in pericolo, perché non conoscono la bellezza di aver raggiunto il proprio obbiettivo e il proprio io attraverso un movimento spontaneo e autonomo fin dove è possibile. Loro pensano che l’uomo debba essere limitato nel suo volere di schiacciare gli altri, e giustamente temono di essere distrutti all’interno della loro speculare fagia. Ma l’uomo, l’eroe, non ha bisogno di alcun laccio, e lo sfruttare altri è incatenarsi a loro. È non raggiungere i propri scopi con i proprio strumenti e le proprie alleanze, ed è dunque lo spregevole: il marchio che l’eroe può attribuire alla feccia guardandola anche dalla sua “bassezza” con la bocca davvero più che orgogliosa ‘come se sentisse l’orgoglio di essere orgogliosa’. Allora in questo tempo l’eroe è la vittima che si immola per la sua grandezza e irride chi lo compatisce e si sente al sicuro da chi lo deruba: hanno la loro depravazione e sporco come ricompensa. Questo sciopero dal male è quello che serve oggi e che farebbe una vera comunità, l’ambiente perfetto per realizzare al meglio le proprie eccellenze in ogni campo, con la fiducia e la solidarietà reciproca di chi vuole vedere solo il bene trionfare.”

“I santi stanno tornando… ma noi abbiamo bisogno di eroi.”

La libertà del volere 

Sento come qualcosa che mentre cammino e vado tenta di trattenermi e di tirarmi indietro. Guardandomi attorno interrogo il mondo cercando di scrivere quello che ho dinnanzi a me, di interpretare lo spazio mentre lo percorro. La libertà non è che mancanza: quello spazio vuoto che ci restituisce la possibilità di interpretare. Muto, guarda, eppure dice e a noi non resta che conferire significato. Lo stesso fanno gli eventi: in primo luogo ci interrogano. C’è come un filo segreto che noi abbiamo in mano, che durante l’esistenza è più volte messo alla prova. È sempre lo stesso, e immerso come è in altre correnti, a volte si fatica a setacciare il nostro pensare, il nostro dire, fare… e trovare la vena d’oro. Però, più staremo attenti, più, come un esperto cacciatore, sapremo riconoscere i pesci nell’acqua scura, senza confonderli con le alghe ondeggianti. Vedere tra la carne le vene che pulsano vita. Tutto questo è interpretare. C’è qualcosa che si mostra solo in parte e perciò ci lascia liberi di fare qualcosa insieme a lui, a partire da lui e per superarlo. Non è un dio, ma è il nostro volere. Ci sono troppe cose che vogliamo in modo inautentico, e troppo profonde sono le cose che vogliamo davvero. Perciò è difficile scorgere i fili d’oro. Infatti gli animali più liberi sono gli uccelli, massimamente i rapaci: hanno occhi potentissimi e il cielo è per loro lo spazio aperto più ricco di segni da interpretare. Ad esso si unisce la terra, il tutto visto da una prospettiva che più libera non si può. E infatti anche a Roma gli auguri osservavano il volo degli uccelli per interpretare il volere di Giove, per ratificare la loro azione. Poi compaiono eventi che ci fanno sentire concretamente il peso di essere. È come se quel filo profondo, che è il nostro volere, sia il più difficile da mantenere e da scorgere chiaramente, perché c’è troppo rumore dentro di noi, versato dal vivere lontani da noi stessi. Questa non è l’epoca dell’individuo, questa è l’epoca del burattino. Un vero individuo sa cosa vuole e agisce di conseguenza, un vero individuo affronta la realtà eroicamente, senza paura di forze che sono davanti a lui irrisorie, appena ci si rende conto che quelle forze non sono davanti a noi, ma dentro di noi. Rovesciate come acque inquinate dall’essere-con, dall’essere storico e dall’essere nella cultura. Perciò dovremmo destabilizzarci, andare incontro a tutto ciò che è diverso dal nostro ambiente storico e culturale e incontrare la nostra vera natura, comprendere meglio quella che ci determina come essere-con: rompere la cesura tra essere-io ed essere-con e scoprire l’essere-per: colui che vuole, colui che davvero ama. Infatti non si può dire “ti amo”, si deve saper dire “Io ti amo”. Accedere al vero individuo, l’individuo che vuole: che vede la sua linea d’oro e non si lascia fraintendere. Che attribuisce correttamente il senso. La significazione: la mancanza che libera e mostra il volere, il quale si appropria e si mette polarmente in contatto con ciò che c’è. Un continuo scambio da cui risulta il nuovo prodotto: la visione nello spazio prima vuoto e aperto, di fronte ad un uomo, che speriamo sempre sia un vero individuo. Allora non c’è più divisione tra io e mondo ma c’è l’interpretazione come io che sono nel mondo, come io che esisto, come io che voglio. E nel mio volere si mescola anche la materia che mi costringe a dare forma e già ha un suo riflesso di forma. Chi opera si mescola al suo operato. L’uomo che è-con se guarda un fiume vede solo acqua, o ciò che il “si vede” può vedere. Ma l’uomo che vuole… lui può vedere ogni cosa: un flusso vitale di sangue, un drago o la strada che unisce ogni angolo del mondo.

Discorso di laurea

Dopo tanto tempo senza nuovi articoli ritorno con questo frutto sul mio blog. Il 12/07/2017 mi sono laureato in filosofia (triennale) a Padova. L’anno prossimo intendo iscrivermi all’Università Cà Foscari di Venezia alla facoltà di Antropologia culturale. Questo è il discorso che ho preparato per la mia discussione. Spero possa darvi interessanti spunti e invogliarvi a leggere i romanzi di Ayn Rand, che per me hanno significato davvero tanto. Il titolo della tesi è: “L’Oggettivismo di Ayn Rand: un’interpretazione egoistica dell’etica delle virtù”.
Nel frattempo ho fatto altra strada, e presto, spero, ricomincerò a condividere con voi le mie storie 🙂

Ayn Rand è una filosofa naturalizzata americana di origine russa. Nasce nel 1905, lo stesso anno della domenica di sangue: il contesto è quello della Russia rivoluzionaria. Ben presto lasciò il suo paese e negli anni 20 approdò negli Stati Uniti in cui ebbe molto successo soprattutto grazie ai suoi romanzi, tradotti in tutto il mondo.
Il mio lavoro si fissa sull’etica randiana, la quale si può sintetizzare in due fuochi: la realtà e la ragione come assoluti. Infatti centrale è il ruolo della ragione, in quanto unico strumento di sopravvivenza per l’uomo, il quale grazie ad esso conosce nelle realtà quali siano quei principi d’azione e quei valori che promuovono la sua esistenza. L’etica randiana trova dunque la sua giustificazione nella sua funzione biologica. Lo scopo morale che attribuisce all’uomo, è quello della sua vita felice, la felicità è descritta da Ayn Rand come quello stato di coscienza che comincia dalla realizzazione dei propri valori. I tre valori che l’etica oggettivista pone come essenziali per la promozione dell’esistenza umana sono la ragione, la risolutezza e l’autostima. Abbiamo già visto come la ragione sia fondamentale poiché riconosce nella realtà quali siano i valori che promuovono la vita felice umana. È poi necessario che l’uomo agisca concretamente per conservare e/o ottenere tali valori: agisca cioè virtuosamente. A questo proposito è fondamentale la virtù della produttività la quale consiste nell’applicazione della razionalità in ogni processo finalizzato alla realizzazione dei nostri valori. Questa virtù promuove il valore della risolutezza, cioè la capacità di agire con un senso di finalità, consci che ogni proprio atto che segue il dettato della ragione è buono, cioè utile a spingerci verso la vita felice. A questo proposito il valore che naturalmente scaturisce da questo corso d’azione è l’autostima: cioè l’autovalutazione positiva di sè che il soggetto ottiene nel momento in cui realizza i propri valori. È il riconoscimento della propria competenza in quanto agenti morali, della propria capacità di raggiungere la felicità, il che ci rende meritevoli di vivere.
L’uomo che fa da ideale morale per Ayn Rand è l’egoista razionale, cioè l’uomo che ha l’ambizione di essere il suo più alto valore. Questa ambizione si sintetizza nella ricerca della perfezione morale, che l’autrice individua in una razionalità ininterrotta. Dunque l’egoista razionale di Ayn Rand è un uomo la cui caratteristica peculiare è quella di agire secondo i principi formulati dalla sua ragione. Non è, come potrebbe suggerire il concetto tradizionale di egoismo, un uomo che segue ogni suo impulso ed è disposto a tutto pur di realizzarlo. Questa distinzione può richiamare quella che Aristotele fa nel libro IX dell’etica nicomachea, tra l’egoista al grado supremo che segue in tutto il dettato della propria ragione, e l’egoista come inteso dalla massa che segue il dettato delle passioni. La convergenza non è però esplicitata dall’autrice, che anzi, tende a distanziarsi dall’etica aristotelica a causa della sua forte attenzione per la dimensione politica. L’egoista razionale di Ayn Rand è infatti un individualista, che può realizzarsi in quanto uomo anche su un’isola deserta, purché consegua quei valori che promuovono la sua esistenza. Questo lo possiamo vedere nei romanzi dell’autrice dove emerge tutta la sua fiducia nelle capacità dell’uomo, nella sua ragione e nel suo diritto alla felicità. Gli eroi randiano sono infatti individui che si pongono di fronte all’esistenza con un’attitudine orgogliosa, che realizzano i loro valori e al termine di diversi romanzi Ayn Rand fa pronunciare loro discorsi in cui si può comprendere in modo chiaro ed efficace cosa intenda dire l’autrice quando indica nell’indivuduo la più piccola minoranza sulla terra, cui va resa giustizia.

Spaziando tra l’oggi e il domani 

Qual è il senso della vita?Una domanda sparsa, gettata qua e là dai molti partecipanti al suo spettacolo.

“Senso” cosa ci stiamo chiedendo esattamente con questa parola? Il senso della vita potrebbe essere l’insieme delle esperieze di tutti gli esseri del nostro circondario. Tutte le persone, piante, pietre, misteri e magie che abbiamo incontrato, con la loro natura convenzionale, più quella che noi attribuiamo a loro. Questo potrebbe essere il senso della vita da un punto di vista linguistico, simbolico. Ma il senso della vita, quello vero, non solo imbrogliato con una risposta meditata, quale potrebbe essere, possiamo avvicinarci ad esso?

Potrebbe essere qualcosa di tragico, titanico: semplicemente: una teatralizzata battaglia dove ciascuno con il suo modo, più o meno indipendente, si mette di fronte ai giorni e si trova a fare. Ha delle abitudini, dei difetti e dei pregi, e in modo più o meno consapevole li impersona nel suo esistere.

Così il senso della vita sta nell’essere personaggi gettati in un certo ambiente, in una parte del mondo, aperta e ancora tutta da scrivere. È essere un punto, perciò avere una propria dimensione, e cioè aver la possibilità di ripetersi in infinite combinazioni: ci sono linee, ellissi, iperboli e… circonferenze. Alcuni sono anche curve più eclettiche e cercano di costruire un percorso nuovo.

Nel senso della vita ci sono le sue leggi, il piano in cui ci si muove, con tutta la ricchezza delle sue possibilità. Ostacoli, forature, …felicitazioni. E costruire questa nostra storia, disegnata e tratteggiata, arieggiata, è un senso che può anche prevedere divinazioni, ascesi o credi di vario tipo. Magia, superstizione,superstizione sociale. C’è tutto questo nel senso della vita e ciascuno può interpretarlo, deve interpretarlo, poiché vivendo ogni giorno, pensando distrattamente, o in modo accorto, sognando o dormendo… esiste. E ha una vibrazione di fondo, il senso, — quella dimensione, che va esplorata fin nel suo cuore — che se richiesto non emerge, ma che se osservato, con grandissima cura, può essere svelato.

Uno può anche pensare di non avere più niente da fare, di aver perso tutto ciò che costituiva il suo vivere, la sua possibilità di vivere. Allora l’uomo può anche uccidersi.

Il vuoto che ho visto questa tiepida mattina di primavera, ha acceso una notte di mille speranze, in cui non ho dormito, immaginando possibili storie d’amore… questo senso io non capisco: perché il vuoto? Perché non il fine?

Dondolandomi sulla montagna innevata ho visto qualcosa, ma tra me e quello c’è un lungo percorso, e… quale direzione dovrò prendere questa volta? La mia ombra continua pure a seguirmi, e anche nel buio posso sentire il suo respiro! Una traiettoria… 

una

Traiettoria

Viaggia il viandante, con il suo fuoco e la sua ombra.

Sulla via del ritorno a casa

Il tempo e il lavoro e i vari disastri di chi viaggia guardando solo in su mi stanno occupando molto ultimamente. Ho preparato alcuni pezzi, ma non mi convincono mai. Sono in un momento di scelta e perciò sarò poco presente, ma spero presto di tornare più attivo e di poter leggere anche io i lavori indietro che avete pubblicato.

Grazie a chi continua a seguirmi, abbiate un cammino splendente!

Noi uomini siamo sempre sulla via del ritorno a casa, la via del ricordo, la via della ricerca di qualcosa di già vissuto… o forse di quello che vorremmo vivere, e abbiamo appreso nei nostri sogni, nel nostro carattere. Per questo è proprio dell’uomo il dimorare, come sentenziava Eraclito, ma è davvero questo primo senso che si deve dare al dimorare?

Sì, noi dimoriamo, il che presuppone una dimora. Un luogo in cui stiamo bene, e in cui tornare dopo le battaglie della giornata. A volte si deve ammettere la sconfitta, a volte festeggiare la vittoria, ma nella dimora, si è sempre nel posto giusto. Il posto giusto perché è quello che più intimamente potremmo chiamare “mio” non perché ci siamo solo noi e la dimora, ma perché ci siamo noi, la dimora, e lei. Mio qui non è un possessivo, ma indica quel mio che si pronuncia quando, guardandosi negli occhi, e sentendo tutto il vento del mondo, che soffia appassionatamente sulla vela della nostra anima, infine si dice: “mio”. Tutto quello che si ama riflesso in quella piccola parola: oceani, imprese, sabbie, voli, e l’apprezzamento che siamo in grado di provare, ciò che davvero amiamo, e allora, sentiamo come nostro. Non ci appartiene come una cosa, ma come la nostra stessa anima: fa parte della nostra natura essere lì, noi e in quel momento, a cospetto di quegli occhi che tanto riflettono lo stesso sentimento, e così creano una corrente meravigliosa nel labile spazio tra i due volti. La pupilla si spalanca e la dimora di ciascuno si apre, estende il suo spazio all’esterno e noi non dimoriamo più solo in noi stessi, ma iniziamo a dimorare davvero nel mondo intero.

Un minuscolo specchio colorato, se riflette davvero, basta a dar vita a tutto questo. Per dimorare si deve avere una dimora, e per dimorare nel mondo serve aver già costruito. Ciascuno di noi è il demiurgo di se stesso, l’architetto immanente che lavora tenendo d’occhio l’ambiente circostante, la bellezza, e la persona che ha da vivere: noi stessi, nella nostra dimora.

Ma il fatto di essere sulla via del ritorno ha sempre la sua complicazione: infatti, la dimora, non è come una casa costruita in mattoni e pietra: fissa, stabile. No, la nostra dimora, dobbiamo ricordarlo, siamo noi. Noi viandanti. Perciò essa deve sempre convivere con l’ambiente che ci circonda, e con i nostri momenti diversi. La dimora cammina insieme a noi, è sempre in noi, è il letto del fiume che siamo: ci contiene curandoci dalla dispersione, ma insieme segue le nostre turbolenze, le nostre amenità. Insieme possiamo scrosciare amichevolmente. Eppure, se la dimora diventa greve, — perché noi ci fissiamo su un certo corso, e non sappiamo seguire il ciclo dell’acqua fino al mare, o perché l’ambiente attorno a noi viene ignorato, e la dimora finisce per essere un aberrazione fuori dal tempo, fuori dallo stile— allora non c’è più vita. La dimora diventa condanna, spazio sempre costretto a incarnarsi in ogni esperienza diversa: cerchiamo in questo senso di tornare a casa, come se la casa fosse sempre lo stesso punto che si attraversa perdendosi in un bosco e girando in tondo.

Il flusso magnifico nello specchio degli occhi si interrompe, e ricercando sempre quella solita storia, si trasforma in appannato occhio di pesce fuor d’acqua che non riflette nulla se non l’assenza di luminosità.

Lei non è lei, questo va inserito nei dati del progetto, e anche: questo fatto che cerco, perché lo cerco? È giusto guardare sempre nella stessa direzione? No, la dimora ha ben più di una sola finestra, da cui stare al mondo.

Perciò si deve fare attenzione a tornare sempre a casa, perché se lo si fa da cittadini, questa sarà la nostra condanna, ma se lo si fa da viandanti, che hanno tante case, quanto vario è il mondo, — e talvolta certo visitano un posto già visto prima, ma con gli occhi sempre pronti a scoprire il nuovo, senza una particolare cocciutaggine a veder sempre lo stesso — allora sì, possiamo dire “Ethos antropoi daimon” 

Gatti e conigli. Uno sguardo agli occhi dell’uomo

Sono lieto di condividere con voi alcuni elementi fondamentali degli studi che sto seguendo per la mia tesi. Questo scritto è un saggio che illustra i principali aspetti della filosofia morale di Ayn Rand. È da tempo che studio questa autrice, e fino a Luglio prossimo ci avrò a che fare sempre di più! Ne sono molto contento, e spero che questo piccolo frammento possa spingervi a leggere i suoi due più importanti romanzi, in cui espone la sua filosofia — l’oggettivismo — : La rivolta di Atlante, e la Fonte Meravigliosa. Entrambi sono anche adattati in film. Sono storie davvero meravigliose, e romantiche, con una profondità di analisi psicologica incredibile.

I conigli nelle loro gabbiette hanno gli occhi neri, attenti: occhi che sanno di colpa, e sono pronti a scappare, a rifugiarsi sotto terra, ad ogni rumore. I conigli hanno questo sguardo non per la loro inconsistenza mentale, ma piuttosto, perché la natura li ha dotati così: hanno molti predatori cui devono fare attenzione, e a cui non possono sacrificarsi. Ma ci sono anche uomini con questo sguardo… Uno sguardo di attesa forzata, di paura a girar il primo angolo di ogni loro pensiero. Temono di essere scoperti, e allora fuggono celando la colpa reale che è insita nel loro sè: lo hanno tradito, fingono di essere ma non sono.

Al contrario prendiamo un giovane gatto: un animale che è in una buona posizione, nella catena alimentare. Libero dal timore di essere predato può aggirarsi felice nel suo ambiente, con gli occhi pieni del sorriso dell’esplorazione, della scoperta. Il volto aperto, sincero, di chi vuole sapere, di chi vuole vivere. Ci sono oggi persone che hanno questo sguardo? Alcuni bambini lo hanno, ancora. Ma la metamorfosi in conigli avviene troppo presto nel mondo: la colpa viene insinuata nelle loro pellicce, e la bellezza del dare un grande valore in cambio di nulla, senza trarne alcuna soddisfazione di sorta — lo zero — viene inculcata nelle loro menti. Ma se si osservasse la storia, si capirebbe che questo — il sacrificio — è sempre fatto da eroi che avevano molto in gioco, e che hanno dato la loro vita per un valore senza il quale non avrebbero potuto vivere. Infatti, per poter dire questo: “Io stimo questo valore più di ogni altra cosa, e non posso tollerare che venga maltrattato in questo modo”, prima si deve saper dire “io”. Quanti gatti adulti ci sono nel mondo? Ce ne sono, ce ne sono. Il problema è che non sono animali facilmente sociali. E non accettano di stare insime “per lo stare insieme” o “perché in pochi siamo deboli, ma in tanti siamo forti” o “perché ne abbiamo bisogno” no. Essi stanno insieme solo con chi è in grado di fornire loro un valore, l’amicizia, lo scambio —il reciproco scambio — : questi sono i loro motivi e quando si trovano tra loro, un raggio di sole illumina il volto di tutti i presenti, creando una gran luce. Se questa fosse ingiustizia, allora, trattare ciascuno come merita, poiché può incidere sulle nostre vite, sarebbe ingiusto. Ma se noi li lasciassimo liberi, liberi di credere e di produrre i valori che hanno scelto, allora, avremmo un gran dono. E ciascuno, secondo la sua abilità, potrebbe raggiungere la perfezione di cui è capace, senza alcun timore, senza ostruzioni velenose. Solo con la libertà di scegliere cosa fare, e scegliere di decidere. Questa è un libero mercato. Questo è porre la nostra vita in cima alla gerarchia dei nostri valori, e questo è agire di conseguenza in tutti i campi con razionalità, indipendenza, integrità, onestà, giustizia, produttività e orgoglio.

Qualsiasi azione che cerchi di ingannare noi stessi, gli altri, o la realtà, deve essere pertanto intesa come auto distruzione dei nostri principi — due leggi fondamentali: quella di causalità è quella di identità: A è A, l’esistenza esiste — che sono la guida necessaria a raggiungere la felicità nelle nostre vite, nel mondo, e nel camminare con lo sguardo autenticamente privo di paura verso i nostri scopi. Verso il futuro.