experience
III discorso, anche il dolore
…e per questo essi si trasformarono in una doppia lama sanguinante essa stessa, altri persero la voce ma non per questo gettarono la loro fine seppure grandemente soffrivano
Il mondo ridotto ad un colabrodo di emozioni. Perché non esistono gli angeli nella storia? Chi è quel maledetto che impose alle favole di parlare solo del demonio? Le persone dimenticarono come salutarsi, le persone dimenticarono come si faceva ad alzarsi il mattino per andare a incontrare chi abitava con loro.
Un giorno un lampo di sole scavalcò la tempesta d’acqua che separava un uomo dall’altro uomo, e quel giorno un nuovo orizzonte vide la luce. Gli uomini cominciarono a conoscersi, a riconoscere i loro errori, a riconoscere che il vago senso di insoddisfazione che li dominava non era altro che il fiore spuntato naturalmente dai semi avvelenati che ogni giorno inalavano e senza saperlo, piantavano. Ma in verità, oggi, lo sappiamo bene cosa stiamo facendo: lo sappiamo quando diciamo di no, quando ci inabissiamo nella distanza dalla nostra anima intesa come gente. Non c’è più l’idea di una comunità appena alzata, un poco sopra la terra, che ignora le distanze ed esiste connettendo tra loro tutti gli esseri affini, annodando anche nella loro relazione il diverso, affinché essi tutti possano continuare a muoversi, e non restino fermi. Terrorizzati gli spiriti degli uomini oggi serpeggiano da un occhio all’altro, guizzano come pesci sfuggenti non appena si fissa il proprio fuoco nel loro. È così distante la nostra umanità, che ciascuno può rendersi conto, di tanto in tanto, di non essere io. Chi c’è? Chi c’è? Chi c’è dietro quegli occhi? Le mani stringono ciuffi di erba che non si strappa, non si secca e non si vede. Ma se solo ciascuno, come talvolta capita, solo guardando il suo con-presente negli occhi spalancasse una porta, assaltasse un muro e… dolcemente, con gentilezza esultasse in un saluto: “eccomi, ti saluto, tu, uomo che non conosco, ma che trovo sul mio percorso, che per fortuna trovo e poi magari lascio, che per fortuna esiste e mi rende possibile sapere, aprirmi, anche combattere, vincere e perdere, ciao. Raccontami qualcosa e io lo racconterò a te, ma fallo davvero te ne prego, poi io, noi, ti diremo qualcosa.” Allora, nascerebbe l’arcobaleno. Gli uomini prenderebbero a comprendersi e non a contrapporsi, anzi a ricomprendersi. Cosa non si può lasciare da parte? Cosa sarebbe questo interesse pressante che spezza ogni altro anelito? Perché ora lo dovete tirare in campo? Perché sacrificare la vita a spacciarsi uomini evoluti? Non vedete le vene pulsanti nel vostro corpo? Non vedete il vostro cuore che infuria all’interno delle città, che grida perché? Ad ogni “notizia”? Ma forse non c’è più nemmeno questo, forse l’oro è stato tanto prosciugato che gli ultimi giacimenti sono ormai troppo profondi, e non resta che cacciarsi a vicenda sotto al miglior gatto, da topi. Questo giorno auspico che mai giunga su questa terra. Combattiamo, uomini che hanno grandi orecchie e occhi buoni, quegli uomini che i mendicanti prendono di mira, combattiamo finché è possibile, perché questo mondo è anche nostro, e finché ci sarà vita il nostro compito sarà proprio quello di fare maremoti, di annunciare ed ascoltare fino al tempo in cui forse o loro o io o voi avremo capito.
Essere qui, presente
Per tutto questo tempo sono sempre stato qui
Un mondo folle impazzito e selvaggio. Questo grazie al cielo ci troviamo davanti. Un mondo del caso e dell’imprevisto. Questo mondo ci chiama e ci chiede di metterci di fronte a lui e di ascoltarlo prima di parlare. Però quello che lo scienziato e l’occidentale vorrebbe avere oggi dinnanzi è un mondo Pacifico, regolato da leggi e che ascolta prima ancora di aver finito il suo discorso. [ e quando questo discorso sarà finito nessuno potrà più fare a meno di ascoltare ] Allo stesso modo si è cominciato a trattare con gli altri uomini: ripetere. Ma dare retta, questo è quello che dobbiamo ricominciare a fare, o forse devo farlo solo io, o almeno io. E dare retta non solo a noi stessi nelle nostre molteplici presentazioni ma soprattutto all’uomo o alla donna che abbiamo di fronte. Perché ha scelto di dirci questo o quello? Perché ne parla in un modo o nell’altro? Scopriremmo così che molto più spesso di due o tre volte nella vita dovremmo sentirci onorati.
Proprio come le montagne svettano dalla terra e si mostrano al cielo con la neve, così svetta in me una colonna custode di fuoco e mi chiede solo di poter illuminare tutto questo. Dovrò esserne infine capace!
Oggi pioveva e ho preso la pioggia
Dobbiamo nutrirci di noi stessi, e apparire di fronte a ciò che ci appare, per non cadere nella tana della contrapposizione!
Il tocco della commozione
Una delle sensazioni più beate, quando gli esseri che non ci sono più(*) decidono di farci il più grande dei regali, poggiando le loro dita sui nostri occhi, e baciandoci la fronte, abbracciandoci sfiorando con le loro mani il nostro collo, e con i loro capelli il nostro petto, che per l’emozione sobbalza, è la commozione.Il pianto che accorre libero amplificando lo splendore degli occhi e che mai andrebbe fermato. Sempre versato.
La cosa migliore che un uomo possa mai desiderare è commuoversi per qualcuno e vivere davvero con lui il momento, o la storia che gli ha donato.
Solo allora tutto appare pieno, giusto. Naturalemente due cuori si cercano, e si ha un contatto perfetto: un dolore o una gioia senza domande e risposte. Un dolore o una gioia che spezzano le catene dello spazio e del tempo e infrangono la nostra storia con un momento eterno.
Per questo, vale la pena di vivere.
(*) non intendo i defunti, ma esseri misteriosi e grandi. I responsabili di quello che avverrà, gli spiriti guida che abitano in noi.

Il selciato di Venezia
Quelle stesse pietre che sono qui da centinai di anni e hanno accolto su se stesse passi di diverse persone, finanche a presentare dei solchi: quei segnalibri dovuti ai grandi romantici che amavano percorrere la loro passeggiata, oggi sono ancora qui, e si offrono al nostro vagare per Venezia. Ogni segno su questa pietra è felice e racconta una storia, anche triste talvolta. Potremmo lavorare, e creare solo a partire dai segni su una pietra del selciato di Venezia: ognuna di esse nasconde infinite storie ed universi. Immaginate tutta la città!
Oggi ho questo sprazzo di festa, questa dolce spuma di coriandolo che mi ha fatto comprendere la ricchezza di quello che sta sotto i nostri piedi. Allora ogni cosa ha la sua importanza, e lo stesso camminare, lo stesso calpestare assume un senso nuovo di rinascita, rinascita di storie, persone, animali, eventi… perciò io amo ogni percorso e Venezia in particolare, anche se questo vale per ogni città, e in un certo senso per ogni cosa. Questa è la meraviglia dell’esistere, e anche noi lasciamo il nostro piccolo segno esistendo.
Consiglio di adottare parti di cose. Vivete le loro storie e dategliene di nuove! Fate attenzione ai piccoli segni che informano e ridanno vita alle città dell’uomo e ai luoghi della natura.

Comprendere sè a partire dal mondo
Dobbiamo ricordare che nelle persone esiste una concezione di noi, di loro, e del mondo completamente diversa da quella cui noi siamo abituati e che tendiamo a considerare assoluta. Se si riuscisse a capire il criterio di composizione con cui ci si fa un’idea di una persona, ma anche di una cosa, si potrebbe comprendere più a fondo il nostro modo di dipingere il mondo, di vedere il mondo. E se ne potrebbe poi ricostruire la storia nella nostra vita, grazie ai ricordi.
[paradigmizzazione del metodo usato da V. Ja. Propp nella Morfologia della fiaba]

Da Venezia a Padova
Ci sono modi diversi di coltivare il dolore e la tristezza nella musica e in molte altre arti. Alcuni hanno una profondità di pensiero davvero lampante e apprezzabile, ma la usano per auto infliggersi dolore e appoggiarsi alla storia cattiva. Invece altri esprimono con infinita delicatezza il loro dolore e rendono un servigio immenso all’umanità, poiché trasformano il brutto in bello, il triste in commuovente e infuocano gli spiriti dei grandi patrioti della vita.
I momenti critici dell’esistenza, la guerra e la balena
Così come siamo capaci di godere per il piacere e il bene, allo stesso modo dobbiamo essere capaci di godere anche del dolore. Infatti l’uomo è vivo ed è naturale che esperisca sensazioni ed eventi piacevoli sia sensazioni ed eventi dolorosi. Senza dolore non c’è una delle più importanti ambizioni dell’uomo: l’ambizione della rivalsa, l’ambizione al bene. Perché mai uno dovrebbe volere il bene se tutto è già buono? Ma spesso succede proprio il contrario e l’uomo sembra volere affondarsi da sè con il suo dolore. Lo riconosce, talvolta lo nomina anche, ma invece di goderne, di mangiarlo tutto e viverlo a pieno ci si siede sopra. Questa è la sua fine. Non per forza si deve stare bene, ma assolutamente sbagliato è covare sulla propria interiorità, stare nel disagio e non finire di viverlo, trasformando una fase — anche il bene è una fase — in una condizione cronica. A volte può essere duro digerire un certo male, o un certo bene, ma solo in questo modo si può stare all’esistenza. Altrimenti si è in una nebbia d’esistenza, in cui il nemico è sempre all’agguato, le fasi del vivere non compiono il loro normale corso, anzi, si interrompono, e resta solo la costante condizione di rischio, con le sue normali salite e ricadute. Io propongo di andare in guerra, di assaporare il proprio stesso sangue, di scottarsi con se stessi e di incollare i propri occhi ai propri occhi: fare come fa la balena. Cioè essere capaci di immergersi nei propri abissi, ma anche di riemergere per respirare. Essere noi nelle nostre diverse sfaccettature, investire della responsabilità dell’esistere la nostra interiorità, senza mascheramenti, nebbie, o scioperi (reclusioni e nascondinenti delle nostre rappresentazioni del mondo, delle cose e delle persone). Allora questo come si può riassumere? Direi, come ho sentito in un anime — Terraformas — ridete quando siete felici, piangete quando siete tristi e urlate quando ne sentire la necessità. E infatti questo è essere in guerra. E anche non cambiare argomento o non mettere sul tavolo altro da quello che si dovrebbe dire è essere in guerra.Questa è la mia personale via, quella che penso sia utile seguire. Ma il mondo è enorme, e c’è altro da sapere e imparare. Tuttavia ritengo che un uomo abbia enorme potere sulla sua vita, molto più di quanto si potrebbe immaginare. Figurarsi un atto, visualizzare certi gesti o nutrite fino in fondo nella mente una certa emozione, sono fatti che in questo periodo mi stanno aiutando a comprendere di più il mio modo di fare, i miei desideri e le mie aspirazioni. È come esser nella foresta: ci sono pericoli, bestie, tracce e la tecnica che il viandante, che l’uomo delle genti della foresta, conosce per sopravvivere. Spiriti… tanti io si manifestano davanti all’uomo nella foresta. Ma in fondo è sempre qualcosa che, almeno latentemente, noi conosciamo. E allora viene bene l’induzuone (il camminare da quelle cose appena dette più che si può su su, fino alla loro origine, o perché). Ben vengano i segni, ben venga il dialogo, ben vengano gli amici il piacere e il dolore. Ben vanga la vita come intreccio di relazioni ed esperienza. Se saremo capaci di stare all’esistenza e di estrarre la spada dalla ferita per potercene procurare altre, allora, forse, nel momento fatale potremo volare via verso…
fine

La bambina e i rondoni di mare
Nel vento, che come seta sfiorava i nostri corpi, viaggiava sabbia cristallina, di un marrone rosato tanto profondo quanto il sentimento di fiducia nella religione. L’oceano era turchino, e i rondoni di mare fluttuavano tra i diversi soffi di vento, muovendo in cerca di cibo. Porgendo le sue innocenti mani, una giovane bambina offriva a loro il dono di preziose briciole di pane, sottratte alla sua merenda, affinché anche in loro la vita continuasse a scorrere, fedele. Aveva uno sguardo perso, i capelli appena carezzati dal vento, e nel suo profondo non si scorgeva nemmeno un briciolo di paura per l’esperienza presente, e il futuro che le si apriva davanti. Era come un cucciolo di gatto: felice di esplorare il mondo e arrampicarsi ogni dove, felice di interagire con quei rondoni di mare, tanto affamati, quanto leggiadri e gentili. Sembrava che tutto qui attorno avesse voluto rispondere al cuore della bambina: il mondo non era poi un così brutto posto in quell’epoca, su quella spiaggia, in quel momento. E davvero, sia il sole, che le correnti, che l’oceano, si erano fatti più gentili. Camminammo qualche ora sul lungomare, dipingendo nel cielo alcuni lievi disegni: fumi di sigarette incrociati, che si spalancavano all’ozio del primo pomeriggio. C’era una chiesa in cima alla scogliera: bianca, con il tetto a punta, semplice e nero. Proprio i colori dei rondoni di mare, proprio come se fosse stata disegnata da quella bambina… Dopo una lunga passeggiata ci fermammo in una zona in cui gli scogli avevano creato un piccolo specchio di laguna. Ci sedemmo accoccolati su un masso vecchio come l’intera spiaggia, forse il padre di molto granelli di sabbia, che ancora non troppo pronti per partire, per lasciare la dimora, gli lambivano i piedi, carezzandolo sulla sua antica superficie. Così si nutrivano di lui, e insieme ne ampliavano la vita. Questo sasso, così, non era solo qui ed ora, ma era, con tutte le sue parti, lontano e vicino, profondo e attaccato al suolo, grande tanto quanto il panorama, e abbastanza piccolo da permettere che noi due ci sdraiassimo su di lui, andando anche noi a incidere sulla sua forma, permettendogli di incidere sulla nostra. Sopra la scogliera dei pini di mare ondeggiavano leggeri, e un pittore disegnava una donna con una bambina, mentre salutavano l’orizzonte. Dopo un lieve riposo, ci spingemmo con i visi a guardare dentro alla laguna, per trovare e cogliere l’immagine dei pesci che sognavamo già di scorgere all’interno. Ma l’acqua lì taceva. Tutto era umido e silenzioso. La nostra immagine, sola, si stagliava sulla superficie salata dello specchio d’acqua e ci trasferiva dal mondo della terra, a quello del cielo, riflesso. Ora noi eravamo quei rondoni di mare, che andavamo a scambiare sguardi e battiti di cuore con la bambina che ci dava da mangiare, e lei aveva il compito di raccontare la nostra storia. Ogni prospettiva assumeva allora la sua lunghezza d’onda, come una parte essenziale della melodia di un presente, che risuona in ogni momento della presenza di tutti noi esseri viventi. In un incrocio di storie, di sguardi e di respiri, ogni singola prospettiva ha la sua importanza, e il dono più grande che chiunque possa fare, è quello di tendere le proprie mani in avanti, al fine di condividere con i rondoni di mare il proprio cibo.